giovedì 11 agosto 2016

Silenzio stampa sulle biblioteche in rivolta: i beni culturali al tempo del renzismo

La notizia in sé magari non è di quelle che manda le agenzie in fibrillazione, ma il quasi generale silenzio stampa che la avvolge francamente è un po’ sospetto. Se si eccettuano Left e il Manifesto, nessuno sembra essersi accorto che venerdì 27 maggio si sono dimessi quattro componenti importanti del Comitato tecnico scientifico nazionale per le biblioteche: Mauro Guerrini, ordinario di biblioteconomia a Firenze, Luca Bellingeri, direttore della Biblioteca nazionale di Firenze, Paolo Matthiae, archeologo orientalista tra i maggiori in Italia (è considerato, tra l’altro, lo scopritore di Ebla) e Gino Roncaglia, docente all’Università della Tuscia, forse il maggiore  esperto italiano di informatica e new media nel settore dell’editoria e delle biblioteche.
Quasi in contemporanea Giovanni Solimine, ordinario in Sapienza e autore di numerosi saggi sulla situazione della lettura in Italia, si è dimesso dal Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici. Sommessamente e tra parentesi: se un gesto così clamoroso fosse stato compiuto durante la gestione del MIBACT di Urbani o di Biondi, come minimo un paio di girotondi ci sarebbero stati, e i giornali ora silenti avrebbero doviziosamente stigmatizzato l’ignoranza della classe dirigente di centrodestra. Ma tant’è, lo ricordiamo fuggevolmente per i posteri e entriamo un po’ nel merito.
All’origine della decisione dei cinque esperti c’è un radicale dissenso verso la politica del MIBACT nei riguardi delle istituzioni bibliotecarie del paese, sia per il provvedimento che ha disposto un improbabile accorpamento della tutela dei beni librari nelle sovrintendenze archivistiche, dimostrando palesemente una visione arretrata, centralistica e burocratica della tutela, sia – e questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso – per la beffa dei numeri nel reclutamento di professionisti bibliotecari.
In un settore in cui le grandi istituzioni librarie, come le Nazionali di Firenze e Roma, soffrono da anni di una cronica carenza di ricambio; in cui un ente come l’ICCU (Istituto centrale per il catalogo unico) – che per anni ha guidato la strategia di lungo periodo nell’informatizzazione del patrimonio librario italiano, attivando quelServizio bibliotecario nazionale (SBN) che, sia pure tra luci e ombre, costituisce un esempio virtuoso anche all’estero –  oggi è ridotto a poche unità di personale, spesso non professionalizzate; insomma in un contesto veramente molto critico il bando delMIBACT che doveva – c’è bisogno di dirlo? – “cambiare verso” anche alle biblioteche, ha previsto l’assunzione di 25 professionisti bibliotecari su 500 totali.
Questo il merito, che smentisce clamorosamente tutta la narrazione renziana (ma non solo) della cultura come “tesoro” da valorizzare: si tratta di istituzioni librarie, si sa e si dice che dovrebbero svolgere un compito fondamentale per la conservazione e la trasmissione delpatrimonio culturale della nazione (e lo fanno in condizioni ormai proibitive), ma evidentemente non si prestano tanto all’hashtag facile o al tweet di tendenza come altri manufatti culturali più visibili e mostrabili.
Qui si vede con chiarezza come la cifra fondamentale del renzismo sia la comunicazione a effetto, un giorno dietro l’altro, con un contestuale disinteresse per le attività di “lunga durata” che non comportino echi mediatici immediati. Certo, questo è un antico vizio (o limite) della politica, che vive di consenso, di apparenza e di voti, ma le modalità operative e comunicative di Matteo Renzi stanno portando questo limite al parossismo. E questa è la prima lezione della vicenda.
La seconda lezione è un po’ tra le pieghe, ma forse è ancor più interessante: nel comunicato di Giovanni Solimine si legge: “Da tempo avvertivamo un certo disagio, dovuto al fatto che agli organi consultivi del Ministero non è stata data l'occasione per esprimersi sulle scelte di fondo e sulle principali questioni che nel recente passato hanno toccato il settore delle biblioteche”. 
Anche qui, è vizio antico della politica nominare esperti di cui fare un po’ un uso “vetrina”, ma nel meraviglioso mondo di Renzi e dei suoi ministri sta crescendo sempre più l’abitudine a non far discutere nessuno, a decidere tutto nelle cerchie di un qualche “giglio magico”, per poi dare mandato agli ex decisori di eseguire: i parlamentari col ricatto della fiducia votano leggi in blocco, senza nemmeno discutere gli emendamenti, e gli esperti non sono ascoltati neppure proforma negli argomenti per cui sarebbero stati nominati.
Nell’insieme assistiamo alla realizzazione di un progetto apparentemente “decisionista”, ma sostanzialmente volto a eliminare ogni livello intermedio, ogni momento di riflessione e di confronto ordinario, per sostituirli con ricette precucinate in riva all’Arno e annunciate ogni volta con grande enfasi come l’inizio della palingenesi d’Italia. Si tratta di un metodo spregiudicato e arrembante, riscontrabile ormai anche negli episodi “minori”, che ci deve far tenere alta la guardia sul progetto di concentrazione di potere che si sta preparando mediante la combinazione perversa tra legge elettorale e riforma costituzionale.

(pubblicato su L'Occidentale del 31 maggio 2016)

Proteggere i deboli, ci aiuta la tecnologia

Il 4 febbraio sulla Stampa on line e sui social compare lo spezzone di un video registrato dai Carabinieri che mostra ai pisani allibiti una scena inimmaginabile nella loro città: una maestra di un asilo nido comunale molto rinomato - e da sempre vantato come esempio di eccellenza pedagogico-sociale - maltratta dei bambini, li strattona, impartisce qualche sberla, li colpisce con le stoviglie. 
Il video è accompagnato dalla notizia che la maestra è stata posta agli arresti domiciliari dall’autorità inquirente. Le immaginisono diffuse solo in piccola parte e prive di audio: il passaparola fa trapelare in città che il “parlato” è ancora più agghiacciante. Ma c’è dell’altro: nel video si notano chiaramente alcune persone adulte (poi si saprà: si tratta di altre maestre) che assistono alla scena senza intervenire e senza scomporsi. 
La città è immediatamente in subbuglio. L’assessore all’istruzione, Marilù Chiofalo, si trincera dietro la spiegazione del “burnoutindividuale e occasionale”, per di più scoperto da pochissimi giorni, all’interno di un sistema eccellente e provvisto delle migliori procedure di controllo e di verifica. La versione del caso isolato, benché sostenuta con sicumera, crolla in pochissimo tempo: non solo sono implicate più persone, ma si apprende quasi subito che qualcosa non andava per il verso giusto almeno dal giugno, o forse dal febbraio2015. 
L’11 febbraio la questione viene discussa in una movimentata seduta del Consiglio comunale. Intanto in città si muovono con molto vigore comitati spontanei di mamme e di cittadini. Il consigliere Raffaele Latrofa con l’associazione civica Pisanelcuore promuove immediatamente una mozione popolare con raccolta di firme, da discutere in seduta pubblica del consiglio, perché si chiariscano tutte le responsabilità e perché si individuino gli strumenti più opportuni per un controllo efficace negli asili. 
La vicenda pisana purtroppo non resta isolata: la cronaca nazionale, in cui anche in passato erano emersi maltrattamenti ai danni di bambini, anziani e disabili in pochi giorni produce una specie di campionario degli orrori: vicino Viterbo anziani presi a schiaffi e calci, con insulti irrepetibili, 3 denunciati per abbondono di incapaci, violenza privata e maltrattamenti. A Vercelli 18 arresti: qui assistiamo a un upgrade del film dell’orrore: pare che alcuni pazienti fossero costretti a maltrattarne altri. A Grottaferrata 10 arresti per maltrattamenti in un centro di riabilitazione neuropsichiatrico. Altre notizie di violenze in asili arrivano da Modena e Milano. 
La capillarità e la frequenza di denunce di questo tipo, una specie di malcostume dilagante che sta assumendo i connotati di un microfenomeno sociale diffuso, costringe la politica ad andare oltre la pur meritoria polemica locale e a fare una riflessione generale sulle modalità con cui sono gestite e controllate le strutture a cui è affidata la parte più debole della nostra società. 
Poiché ci sono migliaia di strutture dove il personale per 365 giorni all’anno svolge il proprio compito bene, e spesso con abnegazione e sacrificio, anche a maggiore tutela di chi fa il suo dovere è necessario prevedere un controllo più stringente: questo non significa trasformare questi luoghi in una specie di casa del Grande Fratello perennemente spiato, perché in questo caso la soluzione sarebbe peggiore del male, ma dotarli di sistemi di registrazione a disposizione esclusiva degli inquirenti e delle forze di polizia in caso di denunce.
La tecnologia offre soluzioni sempre più sofisticate. Resta alla politica l’onere di rimuovere gli eventuali ostacoli legislativi o regolamentari che impediscano di farlo, mentre l’opera di convincimento e di depotenziamento dei timori degli operatori è compito di una serena riflessione culturale e sociale, soprattutto per allontanare i sospetti di demonizzazione e di generalizzazione becera nei confronti di professioni e attività che per loro natura sono delicate, complesse e faticose. Le installazioni di controllo chiaramente non devono ledere il rispetto del lavoro e non devono essere intrusive nello svolgimento ordinario dell’attività educativa, di assistenza o riabilitativa. 
Nel contesto nazionale di tutte le problematiche legate alla tutela delle fasce deboli (anziani, disabili, bambini) il convegno di Pisa nel cuore si vuole porre in modo propositivo, esaminando gli aspetti legali, psicologici e tecnici collegati all'installazione dei sistemi di controllo.

(pubblicato su L'Occidentale il 4 aprile 2016)