È passato quasi un anno da quel 23 febbraio in cui ebbe inizio la catastrofe della Bergamasca e della Val Seriana. Due positivi al Coronavirus identificati nell’ospedale di Alzano, e poi una corsa veloce verso il precipizio, i morti, le bare portate via dai camion: una successione di eventi che ci ci lasciò sgomenti per settimane.
Poi è venuto il resto, l’estate, la ripresa del virus stavolta in modo più diffuso nel territorio nazionale, i colori delle zone, le polemiche sanitarie e politiche, e insieme il rischio di dimenticare la violenta tragedia, allora circoscritta a poche zone del Paese.
Certamente ad aiutare la nostra memoria ci sono i filmati, i documenti, le voci dei protagonisti, tutto disponibile, tutto consultabile… volendo. Ma forse niente più di questo libro essenziale – 150 pagine serrate – ci può restituire il clima e gli eventi di quei giorni.
Prima di tutto la terra: la Bergamasca operosa, solidale e radicata nei suoi valori (una identità di valori e una capacità muscolare, montana, di resistenza alle intemperie, come dice nell’introduzione Vittorio Feltri, bergamasco doc). Un libro in cui non son presenti scoop e rivelazioni, ma le testimonianze di “una geografia umana…fatta di collegamenti, di ogni uomo e donna e mestiere agganciato ad anello con gli altri delle strade accanto… e soprattutto della continuità e dell’impegno comune, quando le campane hanno suonato a raccolta, del dispiegamento dei valori che già fondavano e animavano la valle”. È questa la chiave di lettura, anzi il leitmotiv che percorre il reportage di Alberto Luppichini – giovane giornalista al suo primo libro – che ha composto sostanzialmente una specie di spartito in quattro tempi. Nel primo troviamo le avvisaglie, la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata sanificazione, la zona rossa annunciata e mai costituita, con la testimonianza puntuale di Gessica Costanzo, direttrice di Valseriananews.it, un portale locale di notizie: l’assenza di quarantena e la mancata sanificazione – diversamente da quanto era accaduto a Codogno – furono le cause principali della deflagrazione del virus che colpì la città di Bergamo e le valli. Il secondo tempo raccoglie le voci della valle: Nembro, Clusone, Fiorano al Serio, Valbondione con le loro storie di malattia, di dolore e di morte, di rabbia e frustrazione, ma anche di solidarietà e di speranza di rinascita. Il terzo tempo racconta delle voci della fede: il potente “argine contro la disperazione” rappresentato dalle chiese, le omelie dei preti di campagna, la loro dedizione, il loro pesante contributo in termini di malati e di vittime, la vicinanza alle persone più fragili e più sole dell’associazionismo cattolico, tradizionalmente molto presente in quella provincia. L’ultima parte è dedicata alle testimonianze degli operatori sanitari, i medici di base, i farmacisti, gli infermieri impegnati in “una corsa disperata contro il tempo”, veri e propri “medici in prima linea” (tra tutti Ariela Benigni, dell’Istituto Mario Negri, menzionata anche nei ringraziamenti finali), col racconto della scoperta dei sintomi, i tamponi, i ricoveri, le situazioni più critiche ma anche gli esiti positivi.
Adesso che la tempesta sembra passata e che la Bergamasca sembra quasi immunizzata dal virus, e comunque epidemiologicamente molto al di sotto di altri territori lombardi, la riconquista di una qualche forma normalità non dovrebbe andare a discapito della memoria, non per cercare vendetta, bensì esclusivamente chiarezza, conclude Luppichini, esprimendo anche in questa clausola lo spirito autentico di una popolazione orgogliosamente fiera e umilmente cristiana.
Poi è venuto il resto, l’estate, la ripresa del virus stavolta in modo più diffuso nel territorio nazionale, i colori delle zone, le polemiche sanitarie e politiche, e insieme il rischio di dimenticare la violenta tragedia, allora circoscritta a poche zone del Paese.
Certamente ad aiutare la nostra memoria ci sono i filmati, i documenti, le voci dei protagonisti, tutto disponibile, tutto consultabile… volendo. Ma forse niente più di questo libro essenziale – 150 pagine serrate – ci può restituire il clima e gli eventi di quei giorni.
Prima di tutto la terra: la Bergamasca operosa, solidale e radicata nei suoi valori (una identità di valori e una capacità muscolare, montana, di resistenza alle intemperie, come dice nell’introduzione Vittorio Feltri, bergamasco doc). Un libro in cui non son presenti scoop e rivelazioni, ma le testimonianze di “una geografia umana…fatta di collegamenti, di ogni uomo e donna e mestiere agganciato ad anello con gli altri delle strade accanto… e soprattutto della continuità e dell’impegno comune, quando le campane hanno suonato a raccolta, del dispiegamento dei valori che già fondavano e animavano la valle”. È questa la chiave di lettura, anzi il leitmotiv che percorre il reportage di Alberto Luppichini – giovane giornalista al suo primo libro – che ha composto sostanzialmente una specie di spartito in quattro tempi. Nel primo troviamo le avvisaglie, la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata sanificazione, la zona rossa annunciata e mai costituita, con la testimonianza puntuale di Gessica Costanzo, direttrice di Valseriananews.it, un portale locale di notizie: l’assenza di quarantena e la mancata sanificazione – diversamente da quanto era accaduto a Codogno – furono le cause principali della deflagrazione del virus che colpì la città di Bergamo e le valli. Il secondo tempo raccoglie le voci della valle: Nembro, Clusone, Fiorano al Serio, Valbondione con le loro storie di malattia, di dolore e di morte, di rabbia e frustrazione, ma anche di solidarietà e di speranza di rinascita. Il terzo tempo racconta delle voci della fede: il potente “argine contro la disperazione” rappresentato dalle chiese, le omelie dei preti di campagna, la loro dedizione, il loro pesante contributo in termini di malati e di vittime, la vicinanza alle persone più fragili e più sole dell’associazionismo cattolico, tradizionalmente molto presente in quella provincia. L’ultima parte è dedicata alle testimonianze degli operatori sanitari, i medici di base, i farmacisti, gli infermieri impegnati in “una corsa disperata contro il tempo”, veri e propri “medici in prima linea” (tra tutti Ariela Benigni, dell’Istituto Mario Negri, menzionata anche nei ringraziamenti finali), col racconto della scoperta dei sintomi, i tamponi, i ricoveri, le situazioni più critiche ma anche gli esiti positivi.
Adesso che la tempesta sembra passata e che la Bergamasca sembra quasi immunizzata dal virus, e comunque epidemiologicamente molto al di sotto di altri territori lombardi, la riconquista di una qualche forma normalità non dovrebbe andare a discapito della memoria, non per cercare vendetta, bensì esclusivamente chiarezza, conclude Luppichini, esprimendo anche in questa clausola lo spirito autentico di una popolazione orgogliosamente fiera e umilmente cristiana.
L’urlo di dolore: la Val Seriana nell’epidemia da
Covid-19: le storie da non dimenticare, di Alberto Luppichini;
prefazione di Vittorio Feltri. Milano, Guerini e Associati, 2020. 150
p.
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