giovedì 16 novembre 2017

Se i poeti lo mandano a dire: qualche divagazione tra Lucio Dalla e Guido Cavalcanti

In macchina la radio è quasi sempre un sottofondo. La ascolto distrattamente, guardando la strada e lasciando ai pensieri il diritto di vagare. Ma ogni tanto una notizia o un motivo musicale spezzano l'incanto del semiascolto e -prepotenti- reclamano attenzione.

Giusto un paio di sere fa una voce molto particolare e riconoscibile ha interrotto il flusso dei pensieri e mi ha catturato con una melodia struggente. Non lo so se Canzone è il brano più bello di Lucio Dalla, di cui non sono certo un conoscitore affidabile, ma sicuramente nella mia personale graduatoria sta in pole position con Caruso, struggentissima anch'essa, densa di pathos biografico, di sentimento della lontananza e di presagio della morte, ingredienti di prim'ordine per la saudade sempre in agguato quando l'esistenza non si è completamente e tranquillamente radicata in nessun luogo.

Ma Canzone fa una cosa più intriganteimmette nel circuito emotivo un elemento "tecnico-retorico" che accende subito la mia curiosità di cercatore di tracce e di percorsi: è lei che per conto del poeta raggiunge la donna sognata e le porta il messaggio dell'amore inappagato.

Corrotto irrimediabilmente dalla frequentazione del Liceo, mi viene subito in mente la "ballatetta" del Cavalcanti, con quell'attacco davvero straordinario: perch'i no spero di tornar giammai.... C'è l'esilio irredimibile, la donna remota, e la ballatetta incaricata di parlarle. I toni espressivi sono più misurati e certamente meno laceranti, ma lo schema è già completo. L'attacco contiene in modo definitivo tutta la poesia dell'esilio e del limite dell'esistenza. E non è un caso che quel verso, reiterato, sia pari pari l'incipit del cruciale Mercoledì delle ceneri di Eliot (Because I do not hope to turn again. Because I do not hope. Because I do not hope to turn...).

Dunque la canzone di Dalla come la ballatetta di Cavalcanti, ma con molto, molto pathos in più: diciamo che lo strazio esibito di Dalla (o piuttosto di Samuele Bersani) è assai più vicino alla nostra sensibilità educata da robuste dosi di romanticismo, e non solo quello alto del genere Inni alla Notte di Novalis, ma anche quello un po' più a buon mercato di cui è inevitabilmente intriso il nostro immaginario filmico e musicale. 

E però la cosa si fa lunga, perché l'artificio retorico degli "ambasciatori" -e di latori vari di messaggi in bottiglia- che raggiungono la donna del cuore e le parlano non si ferma certo qui. Obbligatoria la presenza in catalogo della colomba bianca, con il suo messaggio amoroso (notissimo) e patriottico (meno noto ma assai rilevante in quegli anni, con Trieste ancora sotto l'occupazione alleata): la ripropongo nella classica interpretazione di Nilla Pizzi. Andando in territori meno pop, e in un contesto tutto diverso - si tratta della madre e non della donna amata e agognata- come non ricordare Giorgio Caproni, che manda ripetutamente la sua anima a Livorno per guardarla camminare per le strade, fino all'ultima preghiera?

Giorgio Caproni



Credo che sarebbe interessante saperne di più, anche perché sono sicuro che, al netto dell'emozione e dell'impatto on the road con una Canzone, non sono stato certo il primo a rilevarne le somiglianze e gli antecedenti, come si può già vedere da questo contributo.
Dunque, niente di meglio che fare ancora qualche ricerca, e darci appuntamento per un nuovo post, possibilmente più fondato.





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