La vicenda è nota, ed è stata pure (abbastanza) ampiamente commentata: Facebook e Instagram hanno “bannato” le pagine di Casapound e di Forza Nuova.
Anche a chi predilige la razionalità più asettica - e aborre l’utilizzo pervasivo della categoria del complotto come chiave interpretativa della storia e della cronaca - non dovrebbe sfuggire la coincidenza temporale di questa decisione con la svolta normalizzatrice impressa al quadro politico italiano attraverso l’operazione parlamentare rappresentata emblematicamente dal secondo dei due Giuseppi.
Ma è soprattutto nel merito che la decisione stride: alle due associazioni, che nel frattempo hanno impugnato la decisione dell’azienda, non è imputata alcuna violazione specifica delle regole, ma una generica, e giuridicamente nebulosa, “propagazione di odio”. E quanti siti, quante pagine, quanti commenti propalano odio e bizzeffe senza essere non dico bannati, ma neppure rimproverati con un buffettino?
Commenti tanti, dicevo. I legalisti a tutti i costi, per sfuggire al discorso sulla libertà di espressione conculcata, un po’ farisaicamente si aggrappano alla natura “privata” dell’azienda col supremo argomento “a casa mia faccio entrare chi voglio”, senza riflettere nemmeno un minuto sul rilievo pubblico che i social hanno assunto nel nostro sistema di comunicazione globale. Poi ci sono i contrari, tra i quali -centratissimi- Marcello Veneziani e Eugenio Capozzi, ossia quelli che hanno capito che tira un’aria bruttissima. Con una stilettata sintetica e ben assestata Mattia Feltri, sotto il titolo Fascisti che non ti aspetti, ha scritto sulla Stampa: “Anzitutto è ignota la colpa specifica di CasaPound e Forza Nuova, se non quella generica di avere «diffuso l’odio», capo d’imputazione accettabile forse nei tribunali di Stalin e applicabile, ben oltre l’estrema destra, a metà della popolazione attiva online”. E ancora: “Si coglie, stavolta lampante, il paradosso di Facebook e Instagram, aziende private – ormai evolute a servizio pubblico per l’uso quotidiano di partiti, sindacati, associazioni – che dichiarano inaccettabili pagine espressione di consiglieri comunali, dunque accettabili per la Repubblica”. Conclusione: “Sulla legge dello Stato troneggia una legge privata, opaca e sovranazionale con cui si separano i giusti dagli ingiusti: se ne sono viste poche di robe più fasciste”. Tombale, a parte la giusta osservazione di Marco Gervasoni, che si potrebbe scrivere benissimo “comuniste”, considerato quanta attività di questo tipo è ascrivibile al mondo delle Vite degli altri.
Perciò il discorso si potrebbe chiudere qui, se non fosse che ad illuminare compiutamente la sgradevolezza dell’episodio ci è venuta in soccorso su Twitter (che è un po’ i Parioli dei social) la senatrice Monica Cirinnà, al solito combattiva, entusiasta e definitiva: “Oscuramento profilo social di Casapound è atto dovuto. Chi predica odio e intolleranza violenta deve essere punito e non può continuare ad infestare i social e il dibattito pubblico. Finalmente! E’ necessario bonificare i social da chi odia e discrimina”. (Notoriamente lo fa solo Casapound, quelli che augurano la morte e distribuiscono insolenze e insulti a Meloni e Salvini e ai loro seguaci fanno sane operazioni di propaganda benefica, alias “bonifica”, letteralmente da bonum facere).
Fissiamo l’attenzione sulle parole chiave usate da questa aralda dei diritti: atto dovuto, infestare, bonificare: una costellazione lessicale, priva di indicazione di fatti specifici, riconducibile ideologicamente alle modalità inquisitoriali del Novecento totalitario, a cui opportunamente accenna Feltri. L’obiettivo è togliere la parola al nemico ideologico in quanto tale, avendo l’accortezza di restare sempre seduti dalla parte del giudice, senza mai dare un’occhiata ai comportamenti e alla storia dei personaggi del proprio album di famiglia.
Ma consoliamoci: in fondo un progresso c’è stato. In altri tempi “i maggior sui” (ideologici si intende) avrebbero auspicato almeno la deportazione nei campi di lavoro, oggi si attizza e si spinge solo alla bocca cucita. Per la verità, sono progressi un po’ lenti, e soprattutto sempre all’interno di una cornice logica deprecabile, perché alla fine della fiera funziona sempre come ai bei tempi: punto uno, io ho diritto di parlare perché sono nella direzione del progresso e del senso della storia; punto due, sono io che stabilisco chi ha diritto di parlare, e chi deve tacere, anche se nessun tribunale della Repubblica ha riscontrato un reato specifico e neppure ha ravvisato nella tua organizzazione i termini della violazione delle leggi sull'apologia di fascismo e sulla ricostituzione del partito fascista; ma il nucleo censorio è che sei contrario al senso della storia, a quell'orizzonte bellissimo e pacificato dell’umanità nuova che da humus ideale del vecchio sogno gnostico si è via via trasfuso nei messianismi rivoluzionari (Voegelin docet) e oggi è di fatto inglobato anche nella visione delle grandi piattaforme digitali, se ne hanno una ulteriore il profitto. E quindi, niente diritto di parola agli sfigati del “Dio Patria e Famiglia”, a suo tempo così amorevolmente trattati sui social, e via via –estensivamente- a tutti quelli che si oppongono alla costruzione del mondo post-umano dell’ultima rivoluzione, quella che ha al centro la corporeità della persona e la sussistenza dei residui corpi sociali. Basta cominciare a porre il principio generico: il resto seguirà. E vabbè, non pretendiamo troppo: bisogna accontentarsi dello pseudo-liberalismo che passa il convento: revisioni e refresh, giammai riesame dei principi.
E dunque grazie, senatrice, uno per la chiarezza degli obiettivi, esplicitati senza ipocrisia; e due per la generosa disponibilità a limitare la sanzione al “solo” diritto di parola.
(Pubblicato con altro titolo su L'Occidentale del 12-9-2019)
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