Dopo mesi di provvedimenti, di bollettini sanitari, di annunci di chiusure e riaperture, si scopre che gli italiani, almeno stando al sondaggio, mentre non hanno smesso di essere timorosi per le conseguenze sanitarie della diffusione del COVID19, cominciano ad essere preoccupati – molto preoccupati – delle conseguenze economiche delle lunghe interruzioni di attività e di servizi. Ma vediamo qualche dato.
Richiesti di esprimersi circa i tre punti ritenuti più preoccupanti per l’avvenire del paese, al primo posto (78%) troviamo economia e occupazione, un valore alto anche negli anni passati. Il 57% indica la sanità, un valore importante e in linea con le aspettative. Assai più in basso si collocano la preoccupazione per il funzionamento delle istituzioni (33%), l’immigrazione (20%) e la sicurezza (11%), temi meno presenti nel dibattito politico e nell’eco mediatica.
Molto pessimistica la valutazione sulla crisi economica in atto, che per il 59% degli intervistati è più grave di quella iniziata nel 2008 con la vicenda dei mutui subprime. Il giudizio sulla situazione economica è negativo per l’84%, e più del 60% si aspetta un peggioramento nei prossimi mesi, anche in riferimento alla propria situazione personale.
Passando allo specifico della gestione dell’emergenza COVID ancora oggi il 44% delle persone ritiene molto o abbastanza elevata la minaccia di poter essere contagiato e il 58% teme la possibilità di contagio della propria comunità, considerando anche che il 59% del campione considera la seconda ondata grave come la prima. Ma rispetto alla prima ondata aumentano le difficoltà di accettazione della situazione: si palesano preoccupazione (34%), rabbia (26%), disorientamento (22%), intolleranza (20%), tristezza (19%), senso di solitudine (9%). Inoltre il 60% è stanco di limitare la propria vita sociale, il 50% di non potersi spostare in Italia, il 47% di portare la mascherina e il 30% di rispettare le distanze.
Un sondaggio non può dar contro della complessità dei sentimenti e delle aspettative del corpo sociale, ma di sicuro è in grado di misurarne la temperatura: l’ “andrà tutto bene” dei primi mesi è stato largamente sommerso dalla sfiducia, dal pessimismo e dalle contrapposizioni. Il paese febbricitante sembra attendere una guida più autorevole, più sicura e meno improvvisata. Questo disagio interpella la responsabilità di tutte le forze politiche e delle autorità diffuse nel corpo sociale, ma soprattutto interpella la capacità dell’opposizione di centrodestra di attrezzarsi meglio, con una classe dirigente adeguata e con proposte concrete, così da presentarsi in modo convincente agli appuntamenti e alle svolte dei prossimi mesi, che non saranno sicuramente facili. E questa volta non potrà permettersi davvero di prescindere da una riflessione culturale adeguata, come ha suggerito giusto ieri Corrado Ocone: “È in questa dimensione perciò che chi ha a cuore la libertà, il “liberale”, ha ora necessità di muoversi. È un lavoro in lato senso “culturale” quello che va fatto, non per opporre semplicemente narrazione a narrazione, ripetendo all’infinito uno schema dicotomico a somma zero. Ma per provare a tenere aperto quanto più possibile il campo della divergenza, o meglio dell’eccedenza: sia all’interno del terreno di gioco, aumentando il numero delle interpretazioni in campo, sia anche all’esterno, ove gli stessi perimetri di gioco vengono a delinearsi”.
(pubblicato sull'Occidentale del 28.12.20)
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