Conversazione in piazza, tanti anni fa. Il consesso è mediamente elevato: c'è un preside cominese, un prof di italiano di Unifi, studenti universitari saputelli e altri curiosi, gira un fiasco, si parla di poeti, Cardarelli, Montale … e a un certo punto, tra un passaggio e l’altro di rosso, viene fuori ovviamente il Carducci. La domanda, lo giuro, è autentica, la risposta invece no, come pure la reinterpretazione.
-Carducci? Ma chi, "quiglie de Sante Denate che ce piacéva béve?
- Scineee ...
La verità è che Carducce de Sanderenate scrisse pure una poesia (Sante Martine), che dovettero tradurre in italiano, sennò non la passavano nelle antologie. Ed è quella che generazioni di scolari hanno imparato a memoria. Ma l'originale -scritto in alto settefratese antico benché lui fosse sandonatese- era più bello assai... e, soprattutto, i divaganti "esuli pensieri" della traduzione italiana nell’originale erano invece romanticamente molto mirati.
La négghia alla mentagna
chievelechiènne saglie
e abballe pe la Serra
ce scioscia ne streviére
Gl’addore delle vine
se sènte pe la via,
la gènte sta cuentènta,
prepara le becchèra
Glie fuoche sta ‘ppecciéte
e la veracia è pronta,
s’arriva ne crapitte
oimamma qué te miégne
Ma abbocca aglie pertone
m’assède aglie ieruode,
vardènne sule n’ciéle
repènze a Te, lentana.
Nessun commento:
Posta un commento