mercoledì 16 febbraio 2011

17 marzo: niente da festeggiare o festeggiare consapevoli?

La proposta di celebrare il 150. dell'unità d'Italia con una giornata di festività nazionale non è stata accolta unanimente e, a dirla tutta, si è un po' impantanata  in molti distinguo e in qualche dissenso esplicito.
Esplicita la presa di distanza dai due estremi geografici del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano Durnwalder e del Governatore della Regione Sicilia Lombardo, ma un borbottìo ostile si è levato anche da altre parti, quando per la giornata di lavoro persa, quando per il riaffiorare di  riserve sulle modalità dell'unificazione e sulla vicenda storica risorgimentale nel suo insieme.
Effettivamente la data si presenta un po' maluccio: è il giorno in cui Vittorio Emanuele II divenne Re d'Italia. Appunto, secondo. In questi casi in genere tradizionalmente si ricomincia da primo: aver conservato la numerazione del Regno di Sardegna simbolicamente "fa tanto annessione".
E di annessione forzata parlano i meridionali, di forzata laicizzazione parlano i cattolici, di unificazione centralista parlano i federalisti. Insomma, il Risorgimento e l'unità come un'operazione fatta dall'alto, in contrasto con l'identità italiana, caratterizzata  dalla pluralità delle storie municipali e regionali e dal radicamento nella tradizione cristiano-cattolica.

Queste riserve oggi hanno una circolazione molto più forte di 50 anni fa, quando si celebrò il centenario, e non c'è quasi nessuno che non le consideri in tutto o in parte ragionevoli. La sottolineatura del carattere poco popolare del Risorgimento d'altronde fa parte della tradizionale lettura gramsciana della storia italiana, come pure da tempo è stata evidenziata la brutalità della repressione piemontese nella "conquista del Sud",  ad opera di personaggi come il generale Cialdini. Sono ormai largamente conosciute anche alcune delle più consistenti  doléances, come l'introduzione della coscrizione obbligatoria, l'impoverimento ulteriore dei ceti contadini - non solo al Sud, ma anche in vaste aree del Centro e del Nord-  e il massiccio ricorso all'emigrazione come uscita dalla grave crisi sociale. 
Un convegno romano di questi giorni, organizzato da Alleanza cattolica, ha dato di nuovo voce alle tematiche critiche verso il Risorgimento, ma non tanto in una prospettiva nostalgica e di vagheggiamento neo-borbonico o neo-asburgico, quanto per mettere a fuoco le difficoltà di oggi e il loro possibile superamento. Di queste riserve è necessario fare tesoro, evitando di riproporre l'immagine del Risorgimento propria della narrazione retorica nazionalistica - dominante soprattutto nel periodo fascista, ma non solo: questa sì veramente inservibile, come ha sostenuto Alberto Banti dell'Università di Pisa in un libro recente.  Insomma non è un buon servizio per la causa dell'unità politica della nazione italiana consegnarne il legato a quella che è stata definita "la favola risorgimentale". 

L'unità statuale d'Italia ha radici lontane, affonda addirittura nell'organizzazione delle regioni augustee:  è l'unica nazione europea il cui atto fondativo  sia precedente al Medioevo.  Perciò non si può accettare la negazione dell'unità in nome dei difetti con cui l'unità politica è stata realizzata. Piuttosto è necessario riformulare il patto fondativo nazionale attraverso una ri-costruzione "dal basso", valorizzando le identità e le comunità trascurate e inserendo definitivamente le pluralità storiche e territoriali nella "narrazione" della nazione italiana.
Certo, ci sono varie complicazioni e qualche domanda potrebbe meritare altri approfondimenti, specialmente quando  prospettive di questo tipo sono evocate in ambienti  sia di tipo leghista che cattolico-tradizionale,  dove per un verso l'enfasi sull'identità territoriale può virare verso la rimozione del concetto romano di cittadinanza, mettendo in primo piano una visione tribale legata al "sangue"; per un altro l'enfasi sull'identità culturale cristiana e sulla composizione comunitaria della società (corpi sociali intermedi più che individui) può lasciare in ombra  la concezione prevalente nelle costituzioni moderne, che tutelano le libertà individuali, di pensiero, di comportamento, di opzione religiosa e politica. Dalla capacità di armonizzare una prospettiva identitaria e comunitaria con le acquisizioni  irrinunciabili  della società liberale basata sull'individuo e sulle sue scelte dipende molto della presentabilità e della possibilità di successo del progetto di ri-costruzione e ri-vistitazione del patto nazionale italiano.

In definitiva, che si festeggi il 17 marzo, o in un'altra data (magari il giorno in cui Augusto nominò il praefectus Italiae) a questo punto non è molto importante. L'unità politica e culturale d'Italia si può e si deve festeggiare. Ma la consegna dovrebbe essere: festeggiare con consapevolezza.



Il libro di Alberto Mario Banti

Il convegno romano di Alleanza Cattolica

Interventi al convegno e altri contributi

martedì 1 febbraio 2011

La lingua disunita e l'elmo di Scipio

Perché la nostra letteratura dà spesso un'impressione di falso? Nel 150. anniversario dell'unità politica non sono tante le  riflessioni sulla lingua usata per secoli nella letteratura, sul suo carattere artificioso e posticcio, sulla sua difficoltà di rappresentare un paese variegato e socialmente stratificato. La soluzione prevalente dal 500 in poi - con l'invenzione del famoso "toscano colto", che separa la letteratura dalla lingua viva e fa prevalere la lingua imbalsamata delle accademie - è passata al setaccio in un libro che meriterebbe di essere letto di più e discusso senza paura di sbattere nell' "elmo di Scipio".  L'Italia ha una storia lunga, unitaria e plurale, non è poi così tanto utile taroccarla con i raccontini edificanti, col contrappasso delle favolette padane.
La letteratura degli italiani

Scampato pericolo?

La notizia dell' incarico a Vittoria Brambilla e a Daniela Santanché di organizzare una manifestazione in difesa del governo e contro "l'aggressione mediatico-giudiziaria" è stata smentita. Ma Daniela Santanché dovrebbe avere un compito speciale per la comunicazione dell'attività del governo: ci voleva sì, dopo le due o tre performaces comunicative in tv, veramente da ... "urlo". 

Giallo sulla manifestazione anti-pm
La trappola