mercoledì 26 gennaio 2022

Angeli e dei sull'Appennino bolognese



Ci sono più modi per andare dall'Italia "padana" all'Italia peninsulare. Molti secoli fa la via maestra passava dalla Cisa che, come ci spiega ordinatamente Wikipedia, "allora si chiamava Monte Bardone. Questo nome derivava dall'espressione latina Mons Langobardorum ("monte dei Longobardi") poiché i Longobardi, per andare dalla loro capitale Pavia al Marchesato di Tuscia, utilizzavano questo valico, che più tardi si sarebbe chiamato "la Cisa". Il percorso costituiva un tratto della famosa Francigena, la via che da Canterbury arrivava a Roma, donde il nome alternativo di via Romea, o Romana.
Dal tardo medioevo in poi l'asse viario più importante diventa quello che va da Bologna a Firenze, oggi snodo fondamentale ferroviario e autostradale: lo spostamento dell'asse è collegato anche alla crescente importanza economica delle due città di Bologna e Firenze, a scapito di Parma-Fidenza e Lucca.
 
 

Ma da Bologna a Firenze ci si può andare anche a piedi, percorrendo i 140 km di sentieri in 6 tappe standard, paesaggio bellissimo, cibo inutile sottolinearlo, vista la zona. Non a caso si chiama la via degli dei. Con ritmi diversi ma uguale soddisfazione la possono fare camminatori diversamente prestanti.
 
Strumento indispensabile per tutti è la Cartoguida della Via degli Dei (1:25.000) con tutte le indicazioni di altimetrie, chilometri, punti d'acqua. Abbinata alla carta escursionistica c'è anche la guida turistica "200 motivi per partire" che vi offrirà una lettura diversa di questo viaggio, che non sarà solo trekking ma vi permetterà di scoprire tutte le eccellenze da non perdere lungo il vostro itinerario.
La Carta Escursionistica è edita dal Comune di Sasso Marconi, capofila di tutti i Comuni che si trovano lungo l'itinerario e costa 10,00 €.
 
 

Ah, non confondete la via degli dei con La via degli angeli, il bel film del 1999 di Pupi Avati. Anzi, mi correggo, confondeteli pure tranquillamente, almeno un po': si svolge nelle stesse zone, aleggiano le stesse parlate e si percepiscono le stesse atmosfere. E soprattutto, l'epicentro è il solito, ormai mitico Sasso.
Se vi sembra prematuro mettervi in cammino addivanatevi tranquilli e (ri)vedetevi il bel film di Avati, pregustando la stagione del viaggio, zaino in spalla.

 

venerdì 21 gennaio 2022

Liguria tra Alpi, Appennini, prebugiun e pansoti

 

Già la Liguria è una strana regione, fatta com'è di montagne strapiombate sul mare, terrazze di vigneti e oliveti strappate da secoli di fatica e di tenacia alle pareti scoscese. E questo lo sanno un po' tutti, anche se la montagna resta comunque un po' in ombra, tanto è forte il dominio della bellezza del mare e delle sue coste, tanto è grande la quota dei porti - mercantili e turistici- nella sua economia, tanto predomina nella memoria collettiva il ricordo della Repubblica marinara.
 
Ma c'è un altro elemento, che sfugge molto di più: la Liguria è l'unica regione d'Italia dove le Alpi convivono con l'Appennino, dove le nostre due grandi catene si toccano e quasi si mescolano, benché separate dalla geologia e e disciplinate dalle convenzioni geografiche, che fissano il punto di separazione al Colle di Cadibona o bocchetta di Altare (459 m slm) in provincia di Savona. 
 L'Appennino ligure arriva al passo della Cisa (1039 m slm), al confine tra la provincia di Parma e la provincia di Massa Carrara, dove comincia dall'Appennino tosco-emiliano. Per i perfezionisti bisogna però precisare che in realtà dal punto di vista geologico la separazione tra Alpi e Appennini, si trova alcune decine di km più a est, in provincia (e, in parte, nel comune) di Genova, all'altezza del passo della Bocchetta (772 m slm).
La cima più alta è il Monte Maggiorasca (1804 m slm), ma ci sono almeno 20 cime che superano i 1500 metri.
 
Questo è quanto ci spiegano la geologia e la geografia, ma come ogni Appennino che si rispetti quello ligure ha un grande patrimonio di folklore e di leggende, come quelle raccolte da Tarcisio Muratore in un bellissimo libro: «Misteri e leggende dal Tigullio a Spezia» (Franco Muzzio Editore). Ma anche i cibi da queste parti sono un po' leggendari: col prelibato "prebugiun" un gruppo di crociati liguri sfamarono Goffredo di Buglione facendo una zuppa di erbe miste rimediate (erbe per Buglione, pro-buggiun sarebbe la fantasiosa ? etimologia).
Le erbe (una decina, tra cui predomina per importanza la Talaegua – Talegna - Grattalingua comune (Reichardia picroides),bollite e condite con olio e limone si accompagnano con gustose focacce di mais; oppure si utilizzano per il ripieno dei famosi pansòti.

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  • giovedì 13 gennaio 2022

    Il cammino di Benedetto

     

    L’Appennino non è solo una catena di montagne più o meno adatte alle attività all’aperto così care all’uomo urbanizzato in cerca di spazi diversi: escursionismo, trekking, sci… Tutte cose che vanno bene, anzi benissimo, da fare crescere senza deturpare, facendole diventare sempre più fonte di vita per i paesi e di reddito per gli abitanti.

     

    L’Appennino è di più: se lo guardiamo attraverso il tempo – diacronicamente, come si dice – è la rappresentazione a strati della nostra storia, dalla prima apparizione del nome Italia su una moneta a Corfinio nel 90 a.C., ai resti della presenza italico-romana nelle sue cittadine e nei suoi paesi, alle innumerevoli testimonianze della presenza cristiana negli eremi, nei santuari di montagna spesso edificati in luoghi di culto precristiani, all’impronta dei grandi santi fondatori, primo fra tutti Benedetto da Norcia, ma poi via via il lascito dei francescani e dei domenicani, i monasteri cistercensi, la diffusione capillare della pietà “moderna” attraverso le missioni dei Redentoristi e dei Passionisti… Insomma, l’Appennino è anche  un libro di storia e una mappa iconografica della storia italiana più profonda.

    È questo il motivo per cui il modo più pertinente di percorrerlo non è quello dell’andare a zonzo o girovagare senza meta, ma quello dei cammini, che partono da un punto e hanno una destinazione, secondo un paradigma che li avvicina ai pellegrinaggi (di cui il Cammino di Santiago è il prototipo). Da un po’ di tempo c’è un interesse crescente per questo tipo particolare di escursionismo e ci si preoccupa non solo di segnarne i percorsi, ma di valorizzarne il contesto, illustrarne il significato storico e “valoriale”.

    Uno dei più significativi, per lo spessore spirituale e le conseguenze storiche che sottintende, è quello che comincia a Norcia, patria di Benedetto e termina a Montecassino, monumento-testimonianza del medioevo europeo e martire-testimone dell’ultimo disastroso conflitto dell’Europa sempre più in fuga dalle sue radici.

    Bè, lo potete fare anche voi in una ventina di giorni, si attraversano paesi e località pieni di storia e di passato, ma purtroppo dal presente incerto e dal futuro problematico. È il viaggio che hanno fatto subito dopo il lockdown uno studioso, professore di storia prestato alla politica (che mi sembra poco propensa a ridarlo indietro …) e un giornalista-analista di rango insieme ad alcuni amici ben scelti. Dall’esperienza non poteva che uscire almeno un libro, e difatti ne sono usciti due: attorno al viaggio hanno elaborato varie riflessioni, esistenziali, ma anche politiche nel senso migliore. Addirittura il libro del professore-senatore si chiude con un decalogo di indicazioni per fermare il declino e avviare la rinascita. Tutta roba interessante, che magari vedremo di sintetizzare in un prossimo post.

     


    Post pubblicato originariamente sulla pagina Facebook l'appenninico ottimista
     

    martedì 4 gennaio 2022

    I numeri della montagna

    Cominciamo a dire che in Italia (ca 300mila kmq) il 35%del territorio è in montagna, il 41% in collina, il 23% in pianura, mentre nel resto dell’Europa prevalentemente è il contrario.
    E la popolazione? Per secoli è stata più in collina e in montagna, anche perché la pianura era spesso malsana, tanto che la montagna era sovrappopolata, e quindi a un certo punto la gente cominciò ad emigrare, per avere più occasioni di sopravvivere o migliorare la propria condizione.
    Per farla breve e limitarci agli ultimi settant’anni, prendiamo come riferimento il censimento del 1951, quando in montagna ci abitavano 8 milioni di persone su 47 (il 17,7%), oggi 7 milioni su quasi 60 (il 12%): detta così non sembra catastrofica come si potrebbe immaginare, ma comunque resta il dato che la popolazione italiana in 70 anni è aumentata di 12 milioni e la montagna ha perso un milione.
     
    La densità: in montagna 60/kmq, in collina 150/kmq, in pianura ben 450°/kmq, tutti stipati là in basso insomma.

    Ma dove finisce la collina e comincia la montagna? Per comodità diciamo a 700 metri, anche se ci sono parametri leggermente diversi tra Nord e Sud. 

    E i comuni come sono distribuiti? Quelli sopra i 500 metri sono 1460, e di questi 763 stanno fra 700 e 1000 metri slm, almeno parlando di sede, perché bisogna sempre tenere presente che molti abitanti stanno più in basso comunque. 

    In questo magma segnato in prevalenza dallo spopolamento progressivo bisogna sottolineare che quelli messi peggio sono i comuni tra 500 e 900 metri, che stanno pagando e pagheranno i costi più alti in termini di residenti. Quelli sopra i 1000 metri se la cavano meglio: dei 282 che hanno la sede sopra i mille metri ben 92 negli ultimi 10 anni ha aumentato la popolazione. E perché? Sono più attrattivi in termini di offerta di lavoro nel turismo, che nel frattempo da turismo lento, riposante e residenziale delle famiglie che andavano in villeggiatura, è diventato sempre più sportivo e veloce. Questo cambiamento premia la montagna vera e propria e penalizza le colline e la bassa montagna che chiaramente non possono competere su questo stesso piano (innevazione, piste, vin brulé e compagnia bella).

    Aggiungeteci che l’inverno demografico in cui il nostro paese è entrato a pieno titolo dovrebbe portare la popolazione complessiva a scendere sotto i 40 milioni entro la fine del secolo.

    Da un articolo, documentatissimo, del demografo Roberto Volpi, uscito oggi sul Il Foglio (da cui ho ricavato questi dati così succosi) emerge un quadro senza speranza per chi può offrire la stabilità e diciamo pure la ripetitività dei luoghi di altezza intermedia? Un po’ sì, ma è evidente che quello che resta delle classi dirigenti che sono sul posto - se resta- dovrebbe cominciare a ragionare seriamente di una diversa attrattività, soprattutto creando condizioni di appetibilità residenziale o semiresidenziale in termini di: 1) facilitazioni abitative 2) ristorazione e accoglienza, 3) collegamenti stradali e ciclo-sentieristici 4) rete internet 5) energia. Ossia i 5 punti su cui i nostri paesi si giocano il possibile futuro, scommettendo contro la morte.


     

    Post pubblicato originariamente sulla pagina Facebook l'appenninico ottimista

    domenica 2 gennaio 2022

    Il Colosso dell’Appennino

     


    Non è che sia tanto conosciuta la statua-grotta-montagna alta 14 metri realizzata attorno al 1580 dallo scultore fiammingo Jean de Boulogne, (1509-1608). Un detto famoso, ma forse solo leggendario, recita: “Giambologna fece l’Appennino, ma si pentì di averlo fatto a Pratolino”, per dire che se il colosso fosse stato in un punto più noto e frequentato della zona di Firenze avrebbe avuto ben altra fama.
    Ma che ci possiamo fare? Anche come statua l’Appennino, anche se bellissimo, è destinato alla marginalità e ad esssere poco conosciuto? E però vediamola anche da un altro lato: la sua presenza può essere per tanti l’occasione di visitare il magnifico parco della villa Demidoff (già Villa Medicea) di Pratolino a Vaglia (FI).

    Approfondisci ancora a questo link

    [Post apparso originariamente su Facebook, alla pagina
    L'appenninico ottimista]