sabato 2 novembre 2019

Harold Bloom difensore della letteratura occidentale

Oggi si fa perfino un po’ di fatica a crederlo, ma nel 1996, nella premessa alla traduzione italiana (Bompiani, 1996) del Canone Occidentale di Harold Bloom, Francesco Saba Sardi annotò: “Le grandi epoche, anzi vichiani ricorsi in cui si articola, culminano oggi in un’Età caotica nella quale Bloom legge il preannuncio dell’apocalittico ricorso di una nuova Età teocratica con la censoria messa in mora dell’estetico in nome del politically correct, espressione del risentimento verso l’assoluta, anarchica, intollerabile libertà della scrittura”.
Si fa una certa fatica, tanto il dilagare dell’ideologia del politicamente corretto e dell’ingresso massiccio del termine nella polemica anche più spicciola e social ci sembra cosa di questi ultimi tempi. Non che non si potesse sapere, o non si sapesse, anzi: basterebbe ripercorrere il volume di Eugenio Capozzi per avere un’idea della sua genesi. E’ che la lente con cui ci siamo abituati a guardare da vicino il fenomeno, cercando di coglierne tutti i dettagli, inevitabilmente ci ha reso un po’ miopi, e stentiamo a vedere quanto relativamente lontane siano le premesse.

La guerra di Harold Bloom contro la “scuola del risentimento” era cominciata fin dagli anni 70, per maturare nel 1977 nella scelta di lasciare il Dipartimento di Inglese di Yale e di accettare una cattedra di discipline umanistiche (humanities) fuori di ogni struttura dipartimentale, in splendido isolamento. Lettore voracissimo (la leggenda dice che era capace di assumere anche 400 pagine all'ora: un suo amico lo aveva definito “spaventoso”), ma anche scrittore instancabile: nei suoi 60 anni di vita accademica ha pubblicato tantissimi libri e un gran numero di articoli. Perfino negli ultimi anni, benché debilitato da una serie di malattie importanti, non ha mai smesso di leggere, di fare lunghe discussioni di letteratura al telefono, di scrivere (sei libri dal 2017 al 2019). 
Sintetizzando l’enorme varietà dei suoi interessi coltivati in sessanta anni di attività, possiamo indicare -con Arlo Ercolani  (Il Fatto, 18 ottobre)- la separazione fra estetica e ideologia, l’interesse per le tradizioni mistico-esoteriche (dalla Gnosi alla Qabbalah) e i testi sacri (soprattutto il Vecchio Testamento), la lotta contro la controcultura divenuta popolare nelle accademie a partire dagli anni 70, la difesa dei classici contro la mediocrità dei contemporanei, l’amore immenso per Shakespeare, messo al centro della cultura europea, come genio assoluto a cui poter accostare solo Dante.
L’obiettivo della sua polemica è la difesa costante della letteratura dall'assalto dei “selvaggi” – lacaniani, femministe, nuovi storici, titolari di Black Studies – Bloom le chiamava “ideologie punk”, “femminismo vizioso”, “dottrina soffocante” e “nuovi stalinismi”. Descriveva i membri del dipartimento di Inglese come “veri e propri agitatori marxisti”. Una scuola che avrebbe sdoganato tutto, l’afrocentrismo, il femminismo letterario, ogni possibile teoria queer e altri movimenti da Bloom collocati nella “Scuola del risentimento”, i resentniks, “i cosiddetti multiculturalisti che ci dicono che dobbiamo valutare un’opera letteraria a partire dall'origine etnica o dal gender dell’autore” (Giulio Meotti, Il Foglio, 16 ottobre).

Benché lo spettro dei suoi interessi letterari sia stato piuttosto vario, e abbia toccato anche l’esegesi biblica, elaborando nel Libro di J un’audacissima e meticolosa lettura “femminista” della Bibbia, che sarebbe opera di una donna colta e aristocratica vissuta alla corte di Re David,  la sua opera più famosa resta The Western Canon, del 1994, che all'uscita fu accolto come una dichiarazione di guerra, e fu osteggiato radicalmente dagli studiosi legati alla “French School”, ma anche dai gruppi militanti nelle università americane.
La tesi centrale del Canone è che la tradizione letteraria occidentale è rappresentata da 26 autori, da Shakespeare a Dante a Walt Whitman, passando per Dickens e Tolstoj fino a Proust e Beckett, (quasi) tutti bianchi, morti e maschi, ha scritto Mariarosa Mancuso: una vera catastrofe per il politicamente corretto. Nell'appendice figurano 850 nomi di autori che rientrano nel canone e che, a suo giudizio, resisteranno all'urto del tempo.

In sostanza dietro alla guerra del canone c’era “un disaccordo sulla natura e lo scopo della letteratura: se questa si muovesse nel campo dell’estetica e del sublime – termini che Bloom, difensore del romanticismo, amava – oppure se fosse in fondo un’ancella delle scienze sociali, una sovrastruttura. Bloom ha sfruttato ogni forma saggistica e si è avvalso di qualunque tribuna polemica per evitare che i “resentnik”, come li chiamava lui, prendessero il sopravvento nelle facoltà umanistiche americane, ma era una battaglia gravata all'origine da un invincibile senso di sconfitta. In questo era in linea con le considerazioni sulla chiusura della mente americana formulate dal suo omonimo filosofo, Allen Bloom. Aveva il pregio e la civetteria di collocarsi dalla parte sbagliata della storia, scrollando le spalle di fronte al moltiplicarsi di metodi innovativi per affrontare e ripensare il testo letterario”, ha concluso Mattia Ferraresi in un bell'articolo apparso sul Foglio, che restituisce tutta la profondità degli studi e la complessità della vita (compreso l’immancabile incidente con #metoo) di questo Yiddish del Bronx, di origini modeste (working class), che apprende l’ebraico veterotestamentario nella sua famiglia di ebrei ortodossi e praticanti,  si laurea in lettere classiche a Cornell ed è spinto dal suo maestro M.H. Abrams “a cercare un dottorato altrove perché, disse,  “qui non avevamo più nulla da insegnargli”, approdando così a Yale, università alla quale rimase legato tutta la vita e che sta curando un libro postumo dei suoi scritti.

Da ultimo aveva dichiarato la sua sconfitta: “Per cinquant'anni ho combattuto la morte degli studi umanistici nelle università, ma abbiamo perso la guerra e tutto quello che posso fare ora è una sorta di azione di guerriglia, i barbari hanno preso il controllo dell’accademia”.

(Pubblicato sull'Occidentale del 19-10-2019)