lunedì 24 ottobre 2022

Battaglie lessicali, battaglie identitarie

Non vorrei entrare nel merito della disputa lessicale che si è scatenata per i cambiamenti del nome di alcuni ministeri.
Sono chiaramente modifiche che esprimono la volontà di sottolineare l’ambizione di un cambio di paradigma a medio o lungo termine, o il desiderio di evidenziare qualche aspetto maggiormente in sintonia con il retroterra culturale e ideale di chi ha vinto le elezioni. Normale, o almeno non stupefacente. Credo che sia coì per il merito a scuola, per la sicurezza energetica, per la natalità. Fra parentesi per lo più sono problematiche sulla cui importanza convengono in tanti, magari a freddo, prima o dopo la sbornia dei commenti politici.
 
Ma è la sovranità alimentare quella che ha suscitato milionate di battute sul sushi e sull’hamburger. E confesso che anch’io ho fatto un sorrisetto di sufficienza quando l’ho sentito, come a dire “ecco vi fate sgamare al volo”. Ma intanto, prima considerazione, come ha scritto un mio amico di sinistra sempre sagace, “se l’avessimo fatto noi l’avremmo chiamato ministero del kilometro zero” e tutti sarebbero andati a letto felici e contenti, sostenibili e consapevoli, aggiungo io. C’è da aggiungere che un minuto dopo i timori per il sushi e l’hamburger si sono imbattuti nella scoperta che la denominazione era già stata introdotta ufficialmente dall’insospettabile Macron.
Comunque sia, prima di essere investiti dal prosieguo delle battute sui cibi esotici che da domani non si potranno più mangiare, un piccolo contributo al dibattito assembleare può venire dall’intervista di Carlo Petrini pubblicata - ebbene sì - sul Manifesto
Nel frattempo Laura Boldrini potrebbe posare l’ananas per cinque minuti, giusto il tempo di leggere. E così tutti quelli della tribù del kilometro zero e dello slow food sostenibile e autoprodotto.
 
Poi ci sono i liberoscambisti, quelli che pensano che se noi vendiamo agli altri l’olio forse gli altri possono vendere qualcosa a noi, quelli che temono eccessi già visti come la lotta al famigerato CETA, grazie al quale nonostante gli allarmi protezionistici sono aumentate significativamente le nostre importazioni dal Canada. Essendo questa la tribù alla quale fondamentalmente mi ascrivo, pur non disdegnando le zuppe e le ribollite della Toscana profonda, me ne sto in vigile attesa, confidando che il buon senso di chi da domani ci governerà saprà tenere nel giusto equilibrio global e local.

Pubblicato su Occidentale del 22-10-22 

domenica 13 marzo 2022

Terra straniera quanta malinconia

Silvia non è morta! 
Una fiction d'amore e di emigrazione in Valcomino
 

Da quando non lavoro più a contatto con le biblioteche mi capita finalmente di leggere tanto, e di rovistare tra vecchie carte. E così, dopo aver scoperto la storia incredibile della versione originale del San Martino di Giosuè Carducci, e soprattutto l’esistenza del poeta dialettale Carducce de Sanderenate, mi sono imbattuto in un nuovo documento che – insomma, diciamolo –  in qualche modo va anch’esso ad arricchire la storia segreta della letteratura italiana.
La vicenda, in breve, è questa: Teresa Focinari, che all’epoca doveva avere un 14-15 anni, emigrò con tutta la famiglia prima in Argentina e poi negli Stati Uniti. Siamo verso la fine del secolo XIX, quando la grande emigrazione postunitaria era già cominciata.
Fin qui niente di strano, è stato il destino di tante famiglie italiane, al Nord e al Sud, specie nelle zone di alta collina e di montagna, ma non solo.

La cosa strana che mi è capitata è invece un’altra: pochi anni fa i suoi nipoti vennero in vacanza in paese e mi mostrarono un vecchio foglio trovato in un cassetto del comò quando la nonna era morta.
Il foglio conteneva una poesia, evidentemente improntata (anzi praticamente quasi tradotta) alla A Silvia di Giacomo Leopardi. In questo caso è impossibile, per ragioni cronologiche, che Leopardi si sia ispirato al nostro testo, ma il poeta che aveva perduto la sua Teresa/Silvia, pur nella sofferenza d'amore, aveva anche giocato - e parodiato - con la cupa e mortifera desolazione del testo leopardiano.
Studia che ti ristudia, che cosa viene fuori? Nel retro del foglio traspare una scritta un po’ sbiadita: “Card. de SD”!  
È dunque lo stesso poeta … e con questa A Silvia rivisitata si chiarisce anche l’enigma del verso finale di Sante Martine, ossia prende nome e volto la donna lontana “penzata”.
Teresa/Silvia nel frattempo si era sposata, forse dimenticata anche degli sguardi timidi e senza approcci di Carducce, ma lui non mancò, qualche anno dopo, di fare un tardivo e romantico outing, facendole avere una lettera con la dichiarazione fuori tempo. Che Teresa/Silvia seppellì in fondo “aglie trature",  epperò di strapparla non ebbe il cuore. 

Insomma, fatto sta che non si rividero più e che, senza l’iniziativa dei nipoti, questa bella pagina sarebbe stata proprio dimenticata, con una notevole perdita per la nostra terra e, forse, un po’ anche della letteratura.
A questo punto però darei la parola a Carducce: ascoltiamolo in silenzio.

Silvia, n’te le recuorde

quand’ive na quatrara

che gli’uocchie accuescì bieglie

e scive brevegnosa

senza vardà a nesciune?

 

Nascuse dentre casa

i’ te vedeva fatié,

la voce se sentiva

cantà nfin’ alla Sbòta

 

Tu te penziéve iròssa,

fastima che na casa

ne fuoche e du’ criature,

glie striglie e le cagline

 

I’, ngima a chélle lébbra

n’petéva mai staccà

e sule da lentane

ne vuoce me sennava

 

La séra - éva de magge-

pe’ tutte s’ammeschiéva

gl’addore lle ienèstre,

la risa lle vaglione

 

Passata la nvernata

la casa la chiedèste:

l’Amèreca lentana

se tòse pure a te.

 

Mo’ chiénte ammerecane

glie fuoche nen gl’appicce,

la stima s’abbìa sola,

e tu vié alla fattoria.

 

Glie striglie? e chi glie tè?

Cagline? bèll’ e pronte,

ma casta pure lòche

sta chiéna de criature.

 

E chiù d’ogn’ atra cosa

tu n’te si’ morta gione

ngraizéme a Di’ e bevéme,

ca la salute è tutte.

 

(S)conversioni: in merito al Regno di Emmanuel Carrère

 

L’avevo letto qualche anno fa in formato e-book con molto coinvolgimento, ma un po’ di corsa e con i limiti della lettura digitale, quelli che conosce bene chi è cresciuto (e pasciuto) con la carta stampata.
Poi mi sono imbattuto in una citazione da controllare, e – una riga tira l’altra –  ho deciso di rileggerlo, ma stavolta scavando nella carta con adeguata lentezza.

 

 

Un romanzo autobiografico?

In un certo senso sì, l’autore è presente in prima persona, come in quasi tutti i suoi libri.Ma qui è  presentissimo, perché è di sé stesso che parla, in relazione al problema dei problemi, che per lui pervicacemente è la storia “incredibile” della resurrezione dei morti (non è un caso che Carrère sia stato lo sceneggiatore della prima stagione della serie tv Les Révenants, una vicenda incentrata su morti che ritornano a casa, ma non sono zombie, sono appunto risorti; e quindi non è un caso che proprio dalle circostanze legate a questa serie prenda le mosse romanzo-viaggio sul “Risorto” per eccellenza).

Personalmente ho trovato indimenticabile l’aneddoto sul padre un po’ volterriano e un po’ maurrassiano – combinazione piuttosto frequente nella vecchia Francia – disturbato dall’introduzione del volgare nella liturgia, non solo e non tanto per nostalgia del vecchio rito, quanto perché affermare solennemente in latino che un uomo è risorto dai morti ha un peso ben diverso che dirlo, con un certo imbarazzo, in francese….


Tutto il racconto è condotto sulla linea di confine tra conversione e (si può dire?) sconversione.
Dopo cento pagine la situazione è questa:
“Sono diventato quello che avevo così paura di diventare. Uno scettico, un agnostico – nemmeno abbastanza credente da essere ateo…E il peggio, dal punto di vista di colui che ero, è che mi ci trovo piuttosto bene. Capitolo chiuso? Non proprio, se quindici anni dopo… mi è venuta voglia di girare di nuovo intorno a questo momento centrale e misterioso della nostra storia, della mia storia. Di tornare ai testi, cioè al Nuovo Testamento. Il cammino che in passato ho compiuto da credente, lo compirò oggi da romanziere? Da storico? Non lo so ancora, non voglio dare una risposta netta, non penso che l’etichetta conti poi molto. Diciamo da investigatore…Gesù è una figura che, se non illumina, acceca. Non voglio affrontarlo direttamente. A costo di dover risalire in seguito il corso del fiume fino alla sorgente, preferisco iniziare l’inchiesta un po’ a valle…


Segue – per più di 200 pagine –  l’avventura di un viaggio colto e appassionante nei luoghi del cristianesimo nascente con la guida degli Atti degli Apostoli e delle Lettere di San Paolo.
Gerusalemme, Efeso, Roma; l’incontro con il Vangelo di Marco e il mistero degli “appunti” di Pietro, la fonte Q, le folgorazioni parossistiche e paradossali di Saulo-Paolo e il suo rapporto col così diverso Luca e, non poteva mancare, di questi con Maria, conosciuta o solo sfiorata nel suo ambiente di Efeso.

Come è immaginabile non c’è nessuna traccia di racconto devozionale e compunto, ma neppure di riduzionismo arrogante.
Più che altro si avverte dappertutto una specie di coinvolgimento “eterodosso”, un’incredulità molto rispettosa, difficile da spiegare senza esserci entrati a capofitto: per capirci, l’esegesi agnostica di Ernest Renan e succedanei è certamente presente, qualche volta è chiamata a spiegare, o meglio ad aiutare a spiegare, ma direi che non detta mai lo spartito dell’opera.

Il libro si chiude con un epilogo – molto bello-  che lascia veramente in sospeso il senso ultimo del “Regno”.
Non voglio “spoilerare”, e privare quanti non l’avessero ancora letto , la sorpresa finale di un bel libro scritto da un vero maestro della scrittura.
Dico solo che comunque siate messi con le credenze e con la religione, nell’arco esistenziale che va dalla miscredenza allo scetticismo all’adesione a tutti i dogmi di Santa Madre Chiesa, secondo me Il Regno sarà una lettura appassionante e di sicuro vi allargherà i polmoni.

(Pubblicato il 2 marzo 2022 sul blog Contrappunto della Libreria Pellegrini)

sabato 19 febbraio 2022

Merecòrde

 

 Conversazione in piazza, tanti anni fa. Il consesso è mediamente elevato: c'è un preside cominese, un prof di italiano di Unifi, studenti universitari saputelli e altri curiosi, gira un fiasco, si parla di poeti, Cardarelli, Montale … e a un certo punto, tra un passaggio e l’altro di rosso, viene fuori ovviamente il Carducci. La domanda, lo giuro, è autentica, la risposta invece no, come pure la reinterpretazione.

-Carducci? Ma chi, "quiglie de Sante Denate che ce piacéva béve?

- Scineee ... 😀
 
La verità è che Carducce de Sanderenate scrisse pure una poesia (Sante Martine), che dovettero tradurre in italiano, sennò non la passavano nelle antologie. Ed è quella che generazioni di scolari hanno imparato a memoria. Ma l'originale -scritto in alto settefratese antico benché lui fosse sandonatese- era più bello assai... e, soprattutto, i divaganti "esuli pensieri" della traduzione italiana nell’originale erano invece romanticamente molto mirati.
 
La négghia alla mentagna
chievelechiènne saglie
e abballe pe la Serra
ce scioscia ne streviére
 
Gl’addore delle vine
se sènte pe la via,
la gènte sta cuentènta,
prepara le becchèra
 
Glie fuoche sta ‘ppecciéte
e la veracia è pronta,
s’arriva ne crapitte
oimamma qué te miégne
 
Ma abbocca aglie pertone
m’assède aglie ieruode,
vardènne sule n’ciéle
repènze a Te, lentana.

mercoledì 26 gennaio 2022

Angeli e dei sull'Appennino bolognese



Ci sono più modi per andare dall'Italia "padana" all'Italia peninsulare. Molti secoli fa la via maestra passava dalla Cisa che, come ci spiega ordinatamente Wikipedia, "allora si chiamava Monte Bardone. Questo nome derivava dall'espressione latina Mons Langobardorum ("monte dei Longobardi") poiché i Longobardi, per andare dalla loro capitale Pavia al Marchesato di Tuscia, utilizzavano questo valico, che più tardi si sarebbe chiamato "la Cisa". Il percorso costituiva un tratto della famosa Francigena, la via che da Canterbury arrivava a Roma, donde il nome alternativo di via Romea, o Romana.
Dal tardo medioevo in poi l'asse viario più importante diventa quello che va da Bologna a Firenze, oggi snodo fondamentale ferroviario e autostradale: lo spostamento dell'asse è collegato anche alla crescente importanza economica delle due città di Bologna e Firenze, a scapito di Parma-Fidenza e Lucca.
 
 

Ma da Bologna a Firenze ci si può andare anche a piedi, percorrendo i 140 km di sentieri in 6 tappe standard, paesaggio bellissimo, cibo inutile sottolinearlo, vista la zona. Non a caso si chiama la via degli dei. Con ritmi diversi ma uguale soddisfazione la possono fare camminatori diversamente prestanti.
 
Strumento indispensabile per tutti è la Cartoguida della Via degli Dei (1:25.000) con tutte le indicazioni di altimetrie, chilometri, punti d'acqua. Abbinata alla carta escursionistica c'è anche la guida turistica "200 motivi per partire" che vi offrirà una lettura diversa di questo viaggio, che non sarà solo trekking ma vi permetterà di scoprire tutte le eccellenze da non perdere lungo il vostro itinerario.
La Carta Escursionistica è edita dal Comune di Sasso Marconi, capofila di tutti i Comuni che si trovano lungo l'itinerario e costa 10,00 €.
 
 

Ah, non confondete la via degli dei con La via degli angeli, il bel film del 1999 di Pupi Avati. Anzi, mi correggo, confondeteli pure tranquillamente, almeno un po': si svolge nelle stesse zone, aleggiano le stesse parlate e si percepiscono le stesse atmosfere. E soprattutto, l'epicentro è il solito, ormai mitico Sasso.
Se vi sembra prematuro mettervi in cammino addivanatevi tranquilli e (ri)vedetevi il bel film di Avati, pregustando la stagione del viaggio, zaino in spalla.

 

venerdì 21 gennaio 2022

Liguria tra Alpi, Appennini, prebugiun e pansoti

 

Già la Liguria è una strana regione, fatta com'è di montagne strapiombate sul mare, terrazze di vigneti e oliveti strappate da secoli di fatica e di tenacia alle pareti scoscese. E questo lo sanno un po' tutti, anche se la montagna resta comunque un po' in ombra, tanto è forte il dominio della bellezza del mare e delle sue coste, tanto è grande la quota dei porti - mercantili e turistici- nella sua economia, tanto predomina nella memoria collettiva il ricordo della Repubblica marinara.
 
Ma c'è un altro elemento, che sfugge molto di più: la Liguria è l'unica regione d'Italia dove le Alpi convivono con l'Appennino, dove le nostre due grandi catene si toccano e quasi si mescolano, benché separate dalla geologia e e disciplinate dalle convenzioni geografiche, che fissano il punto di separazione al Colle di Cadibona o bocchetta di Altare (459 m slm) in provincia di Savona. 
 L'Appennino ligure arriva al passo della Cisa (1039 m slm), al confine tra la provincia di Parma e la provincia di Massa Carrara, dove comincia dall'Appennino tosco-emiliano. Per i perfezionisti bisogna però precisare che in realtà dal punto di vista geologico la separazione tra Alpi e Appennini, si trova alcune decine di km più a est, in provincia (e, in parte, nel comune) di Genova, all'altezza del passo della Bocchetta (772 m slm).
La cima più alta è il Monte Maggiorasca (1804 m slm), ma ci sono almeno 20 cime che superano i 1500 metri.
 
Questo è quanto ci spiegano la geologia e la geografia, ma come ogni Appennino che si rispetti quello ligure ha un grande patrimonio di folklore e di leggende, come quelle raccolte da Tarcisio Muratore in un bellissimo libro: «Misteri e leggende dal Tigullio a Spezia» (Franco Muzzio Editore). Ma anche i cibi da queste parti sono un po' leggendari: col prelibato "prebugiun" un gruppo di crociati liguri sfamarono Goffredo di Buglione facendo una zuppa di erbe miste rimediate (erbe per Buglione, pro-buggiun sarebbe la fantasiosa ? etimologia).
Le erbe (una decina, tra cui predomina per importanza la Talaegua – Talegna - Grattalingua comune (Reichardia picroides),bollite e condite con olio e limone si accompagnano con gustose focacce di mais; oppure si utilizzano per il ripieno dei famosi pansòti.

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  • giovedì 13 gennaio 2022

    Il cammino di Benedetto

     

    L’Appennino non è solo una catena di montagne più o meno adatte alle attività all’aperto così care all’uomo urbanizzato in cerca di spazi diversi: escursionismo, trekking, sci… Tutte cose che vanno bene, anzi benissimo, da fare crescere senza deturpare, facendole diventare sempre più fonte di vita per i paesi e di reddito per gli abitanti.

     

    L’Appennino è di più: se lo guardiamo attraverso il tempo – diacronicamente, come si dice – è la rappresentazione a strati della nostra storia, dalla prima apparizione del nome Italia su una moneta a Corfinio nel 90 a.C., ai resti della presenza italico-romana nelle sue cittadine e nei suoi paesi, alle innumerevoli testimonianze della presenza cristiana negli eremi, nei santuari di montagna spesso edificati in luoghi di culto precristiani, all’impronta dei grandi santi fondatori, primo fra tutti Benedetto da Norcia, ma poi via via il lascito dei francescani e dei domenicani, i monasteri cistercensi, la diffusione capillare della pietà “moderna” attraverso le missioni dei Redentoristi e dei Passionisti… Insomma, l’Appennino è anche  un libro di storia e una mappa iconografica della storia italiana più profonda.

    È questo il motivo per cui il modo più pertinente di percorrerlo non è quello dell’andare a zonzo o girovagare senza meta, ma quello dei cammini, che partono da un punto e hanno una destinazione, secondo un paradigma che li avvicina ai pellegrinaggi (di cui il Cammino di Santiago è il prototipo). Da un po’ di tempo c’è un interesse crescente per questo tipo particolare di escursionismo e ci si preoccupa non solo di segnarne i percorsi, ma di valorizzarne il contesto, illustrarne il significato storico e “valoriale”.

    Uno dei più significativi, per lo spessore spirituale e le conseguenze storiche che sottintende, è quello che comincia a Norcia, patria di Benedetto e termina a Montecassino, monumento-testimonianza del medioevo europeo e martire-testimone dell’ultimo disastroso conflitto dell’Europa sempre più in fuga dalle sue radici.

    Bè, lo potete fare anche voi in una ventina di giorni, si attraversano paesi e località pieni di storia e di passato, ma purtroppo dal presente incerto e dal futuro problematico. È il viaggio che hanno fatto subito dopo il lockdown uno studioso, professore di storia prestato alla politica (che mi sembra poco propensa a ridarlo indietro …) e un giornalista-analista di rango insieme ad alcuni amici ben scelti. Dall’esperienza non poteva che uscire almeno un libro, e difatti ne sono usciti due: attorno al viaggio hanno elaborato varie riflessioni, esistenziali, ma anche politiche nel senso migliore. Addirittura il libro del professore-senatore si chiude con un decalogo di indicazioni per fermare il declino e avviare la rinascita. Tutta roba interessante, che magari vedremo di sintetizzare in un prossimo post.

     


    Post pubblicato originariamente sulla pagina Facebook l'appenninico ottimista