domenica 13 marzo 2022

Terra straniera quanta malinconia

Silvia non è morta! 
Una fiction d'amore e di emigrazione in Valcomino
 

Da quando non lavoro più a contatto con le biblioteche mi capita finalmente di leggere tanto, e di rovistare tra vecchie carte. E così, dopo aver scoperto la storia incredibile della versione originale del San Martino di Giosuè Carducci, e soprattutto l’esistenza del poeta dialettale Carducce de Sanderenate, mi sono imbattuto in un nuovo documento che – insomma, diciamolo –  in qualche modo va anch’esso ad arricchire la storia segreta della letteratura italiana.
La vicenda, in breve, è questa: Teresa Focinari, che all’epoca doveva avere un 14-15 anni, emigrò con tutta la famiglia prima in Argentina e poi negli Stati Uniti. Siamo verso la fine del secolo XIX, quando la grande emigrazione postunitaria era già cominciata.
Fin qui niente di strano, è stato il destino di tante famiglie italiane, al Nord e al Sud, specie nelle zone di alta collina e di montagna, ma non solo.

La cosa strana che mi è capitata è invece un’altra: pochi anni fa i suoi nipoti vennero in vacanza in paese e mi mostrarono un vecchio foglio trovato in un cassetto del comò quando la nonna era morta.
Il foglio conteneva una poesia, evidentemente improntata (anzi praticamente quasi tradotta) alla A Silvia di Giacomo Leopardi. In questo caso è impossibile, per ragioni cronologiche, che Leopardi si sia ispirato al nostro testo, ma il poeta che aveva perduto la sua Teresa/Silvia, pur nella sofferenza d'amore, aveva anche giocato - e parodiato - con la cupa e mortifera desolazione del testo leopardiano.
Studia che ti ristudia, che cosa viene fuori? Nel retro del foglio traspare una scritta un po’ sbiadita: “Card. de SD”!  
È dunque lo stesso poeta … e con questa A Silvia rivisitata si chiarisce anche l’enigma del verso finale di Sante Martine, ossia prende nome e volto la donna lontana “penzata”.
Teresa/Silvia nel frattempo si era sposata, forse dimenticata anche degli sguardi timidi e senza approcci di Carducce, ma lui non mancò, qualche anno dopo, di fare un tardivo e romantico outing, facendole avere una lettera con la dichiarazione fuori tempo. Che Teresa/Silvia seppellì in fondo “aglie trature",  epperò di strapparla non ebbe il cuore. 

Insomma, fatto sta che non si rividero più e che, senza l’iniziativa dei nipoti, questa bella pagina sarebbe stata proprio dimenticata, con una notevole perdita per la nostra terra e, forse, un po’ anche della letteratura.
A questo punto però darei la parola a Carducce: ascoltiamolo in silenzio.

Silvia, n’te le recuorde

quand’ive na quatrara

che gli’uocchie accuescì bieglie

e scive brevegnosa

senza vardà a nesciune?

 

Nascuse dentre casa

i’ te vedeva fatié,

la voce se sentiva

cantà nfin’ alla Sbòta

 

Tu te penziéve iròssa,

fastima che na casa

ne fuoche e du’ criature,

glie striglie e le cagline

 

I’, ngima a chélle lébbra

n’petéva mai staccà

e sule da lentane

ne vuoce me sennava

 

La séra - éva de magge-

pe’ tutte s’ammeschiéva

gl’addore lle ienèstre,

la risa lle vaglione

 

Passata la nvernata

la casa la chiedèste:

l’Amèreca lentana

se tòse pure a te.

 

Mo’ chiénte ammerecane

glie fuoche nen gl’appicce,

la stima s’abbìa sola,

e tu vié alla fattoria.

 

Glie striglie? e chi glie tè?

Cagline? bèll’ e pronte,

ma casta pure lòche

sta chiéna de criature.

 

E chiù d’ogn’ atra cosa

tu n’te si’ morta gione

ngraizéme a Di’ e bevéme,

ca la salute è tutte.

 

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