mercoledì 19 aprile 2023

Uomini e orsi: una convivenza ancestrale, ma non sempre felice

 

La pena di morte comminata ai criminali è stata sempre giustificata con tre ordini di motivi: vendetta e "risarcimento" per il sangue versato, espiazione della colpa, esempio e ammonizione per i malintenzionati, eventualmente dissuasi dalla paura di perdere a loro volta la vita.
Nel consorzio umano abbiamo quasi ovunque surrogato queste esigenze con detenzione a vita o comunque lunghissima, mentre ha assunto crescente importanza l'aspetto rieducativo della pena.
Ma per gli animali che senso ha? Forse resta in piedi solo quello ancestrale della vendetta. Per il resto non credo ci si aspetti che gli orsi del Trentino vengano a sapere che uno di loro è stato fucilato e che uccidere un essere umano può comportare la pena di morte.
Se di orsi ce ne sono troppi e se i trentini vogliono tenere il territorio come un grande parco urbano dove girare e correre in sicurezza, prima di tutto non dovrebbero attivare progetti –pure finanziati-  per ripopolarlo con animali di quel tipo, senza peraltro commisurarne adeguatamente l’impatto con un territorio così antropizzato e turisticizzato; adesso che la frittata è fatta però dovrebbero studiare le modalità per trasportarli in altri luoghi, più adatti, o meno popolati, o meno propensi a trasformarsi totalmente in Disneyland del turismo vagante nella natura sterilizzata e confortevole. 
Però la condanna a morte del colpevole no. Decisamente no, piuttosto paradossalmente sarebbe preferibile e più rispettosa di ancestrali equilibri la caccia selettiva, quando il numero degli animali diventasse davvero eccessivo rispetto al territorio: certo con criteri seri, molto seri, possibilmente non stabiliti dagli operatori del turismo, che ovviamente preferiscono i boschi incontaminati ma disabitati, quelli degli spot del Trentino verde per capirci, o dai politici che li rappresentano, che sembrano sempre ansiosi di abbatterli.

 



Qualcuno potrebbe obiettare che l'abbattimento degli animali pericolosi viene disposto anche per quelli domestici, come per esempio può accadere quando un cane sbrana un essere umano. Ma è molto diverso, se non altro perché il cane coabita abitualmente con l'uomo e può reiterare il comportamento feroce, almeno così dicono. Oppure può avere la rabbia, e dunque c’è un motivo sanitario. Sebbene anche nel caso domestico non trascurerei del tutto la componente "vendetta" nei confronti di un animale magari allevato per assalire o tenuto in condizioni detentive inappropriate. A questo proposito sono interessanti, anche per l’antropologia culturale attuale, certi processi medievali - con condanna a morte seguita da esecuzione pubblica ovvero da assoluzione - nei confronti di animali ritenuti capaci di una qualche intenzionalità e dunque dotati di responsabili penale. Celeberrimo il caso della scrofa assassina celebrato nel 1266 a Fontenay-aux-Roses, in Francia. Secoli dopo, nel 1750, una femmina d’asino fu assolta dalle accuse di bestialità a causa delle testimonianze degli uomini, che ne acclamarono le virtù e la sua generale buona condotta.

 

Comunque sia non si può applicare la categoria della domesticità e della prossimità a un orso che si aggira nei boschi, si spaventa o difende i piccoli: tanto è vero che in 150 anni in Italia registriamo un morto e alcuni episodi di aggressione pericolosa da parte di orsi, avvenuti quasi tutti in Trentino e in questi ultimi anni: si tratta di numeri infinitamente minori di altri eventi tragici dovuti alla frequentazione della natura, alpinismo, immersioni, incidenti di caccia. Un mondo totalmente privo di rischi si può avere soltanto restando in casa. Ma, lo sappiamo, solo fino a un certo punto: basta un terremoto di media intensità a scalfire questa sicurezza e a richiamarci al fatto ineludibile che siamo inseriti in un cosmo non sempre amichevole. 

 

Sulla lunga vicenda del rapporto tra l’uomo e l’orso consiglio fortemente la lettura del volume dell’antropologo Michel Pastoureau L’Orso, storia di un re decaduto, pubblicato da Einaudi, un percorso veramente affascinante dalla preistoria all’orso Teddy. Per molto tempo in tutta Europa il re degli animali non fu il leone, bensì l'orso: ammirato, venerato, considerato come un progenitore o un antenato dell'uomo. I culti dedicati all'orso migliaia di anni prima della nostra era hanno lasciato tracce nell'immaginario e nelle mitologie fin nel cuore del Medioevo cristiano. Ben presto la Chiesa si sforzò di sradicarli. I prelati e i teologi erano impauriti dalla sua forza brutale, dal fascino che esercitava su re e cacciatori e soprattutto da una credenza secondo la quale l'orso maschio rapiva e violentava le giovani donne: da quell'unione nascevano uomini mezzi-orso, guerrieri invincibili, fondatori di dinastie o antenati totemici. L'apice della sconfitta fu raggiunto quando dal diabolico si passò al ridicolo e l'iconografia, la letteratura e la pratica comune finirono per identificare l'orso come il goffo bersaglio di bastonate, senza corona ma con catene e museruola. Eppure, la caduta dell'orso non è stata totale: lo si ritrova ancora oggi, tenero confidente, nella culla di ogni bambino.

 

 

 

                    
La lotta tra l’orso e il leone per la conquista del trono del regno animale (dal Salterio di Ormesby)


 

Pubblicato senza sostanziali modifiche su L'Occidentale del 18 aprile 2023