lunedì 4 febbraio 2013

La parabola dell'orso, da re padre di guerrieri all'orsacchiotto Teddy, passando per il circo









Gli animali non sono soltanto prede di caccia dai primordi della nostra apparizione sulla Terra, e neppure esclusivamente i partner delle nostre attività agricole e pastorali, come capita almeno dal Neolitico. La loro presenza non è nemmeno esauribile nell'arco delle sensibilità che oggi ci sono così familiari: la  compagnia, l'accudimento diretto, la protezione ambientale delle specie minacciate.






Prima di trasformarsi perfino in simpatici (e/o inquietanti?) cartoni parlanti e umanoidi alla maniera di Disney,  la loro esistenza ha assunto significati simbolici e si è caricata di metafore e di figure. 
E' una costante del pensiero umano, e non c'è bisogno di ricorrere alle teorie dell'interpretazione per sapere -se solo ci osserviamo un po'- che moltissime volte siamo interessati, più che alle cose in sé, al significato che assumono per noi e per gli altri.

Sui nostri vicini più vicini tra gli abitanti della Terra si sono addensati significati totemici, araldici, morali. Nella zona più remota della storia dell'homo sapiens antenati e totem primordiali in sembianze animali non li hanno avuti solo gli Indiani d'America o altri "selvaggi" incontrati via via dal civile e illuminato uomo europeo:  anche i nostri progenitori italici prendevano il nome da animali che li guidavano nelle migrazioni: il picchio e il lupo diedero nome ai Piceni, agli Irpini, e così via. Senza dimenticare che nel mito fondante della storia romana - e perciò di gran parte di ciò che chiamiamo Occidente-  Romolo e Remo furono allattati da una lupa. I medievali coltivarono nei Bestiari una vera e propria scienza del valore simbolico, mistico e morale, degli animali.  E infatti non è casuale che Il re leone delle Cronache di Narnia sia interpretabile come  figura del Cristo, dal momento che l'autore, C.S. Lewis, da filologo e da scrittore era  molto addentro a questo tipo di saperi.
Se  pensiamo ai valori  "morali" tipizzati, basta ricordare la fedeltà del cane, la furbizia della volpe, l'ambiguità del gatto, la regalità del leone, la mitezza della pecora e dell'agnello, la lussuria prorompente dell'asino, la cupidigia ingorda del maiale, che ci accompagnano da Esopo, Fedro e Apuleio fino ai favolisti moderni e a Collodi, il cui Pinocchio può essere considerato una reinterpretazione moderna dell'Asino d'oro di Apuleio.

Ma se ci domandano a quale tipo di immagini morali rimanda l’orso, che tra gli animali ci è sempre stato vicinissimo, non abbiamo una risposta immediata. Tanto grandi sono la sua fraternità e la “comparanza” con gli umani che lo spettro delle somiglianze e delle complicità è veramente enorme e più che altro contraddittorio. Il viaggio attraverso le variazioni che il nostro rapporto con l’orso ha conosciuto nel tempo è veramente affascinante. E lo possiamo fare in una buona parte con la guida di un autorevole storico medievista, esperto di simboli e di araldica, Michel Pastoureau, che ha scritto un libro proprio su questa vicenda (L’orso: storia di un re decaduto. Torino, Einaudi, 2008).

 

Che cosa accomuna l'uomo neanderthaliano di 80.000 anni fa che nella grotta del Regourdou condivide il suo riposo eterno sotto la stessa lastra tombale con un orso bruno, con la bambina che si addormenta abbracciata al suo Teddy di pelouche? A prima vista, poco. Ma nei meandri della storia dei simboli emerge con assoluta chiarezza innanzi tutto la particolare fraternità degli uomini con questo animale. Pastoureau ci mostra come nel remoto passato l'orso era un vero Re primordiale, una divinità, che con l'avvento del Cristianesimo un po' venne combattuta, un po' venne inglobata, come sempre. Capi germanici discendenti di orsi, rampolli di stirpi che nel loro stemma si sono fregiate araldicamente dell'orso ci sfilano davanti solenni e spaventosi, come l'eroe Beowulf, che non solo ha un nome che probabilmente significa "nemico delle api" (che era uno dei soprannomi dell'orso per i Germani), ma che era figlio di un orso e di una donna, circostanza da cui gli veniva una forza invincibile. Tra l’altro la vicinanza dell'orso con gli uomini era rafforzata dall'idea - che è scomparsa molto tardi- che gli orsi si accoppiassero abbracciandosi frontalmente, e non come gli altri animali.


San Corbiniano
Un'altra lunga storia - ricca di sorprese- è quella dei santi "orsi", o dei santi che sottomettono gli orsi, da Sant'Orso a San Romedio, di cui c'è traccia anche nello stemma di Benedetto XVI, per via della storia di San Corbiniano, vescovo di Frisinga. Queste vicende di "addomesticamento" costituiscono un passaggio rilevante nel significato dell'animale, ma anche in questo contesto l'orso conserva una grande aura di solenne sacralità, benché "subordinata" al nuovo potere spirituale. Parallelamente continua la sua fortuna araldica e la sua vicinanza con gli aspetti guerrieri e regali del Medioevo europeo.
 



Ma proprio la "vicinanza" e la "fraternità" con gli umani saranno il veicolo con il quale l'ormai ex re e dio si andrà colorando sempre più di aspetti istrioneschi e ambigui. Durante le  feste di carnevale mascherarsi da orso, fare il verso all'orso diventa molto comune. La pratica non è esente da scurrilità di vario tipo, e ci sono testimonianze di proibizioni e reprimende delle autorità ecclesiastiche nei confronti di queste usanze. La goffa somiglianza con l'uomo porta l'orso verso lo spettacolo circense, fino a ballare incatenato con zampognari e suonatori girovaghi. Questa usanza è molto ben documentata nell'Appennino Parmense (a Compiano c'è anche un Museo degli Orsanti) e nella Valle di Comino, a cavallo fra Lazio, Molise e Abruzzo.


Alla fine del lungo viaggio di fratello Orso, dio e re primordiale, troviamo lo Yoghi bonario dei fumetti o l'icona accattivante dello stemma Parco nazionale d'Abruzzo. Resterebbe però da raccontare un ultimo scampolo, ossia la curiosa storia dell' orsacchiotto Teddy, anzi dell'orso di Teddy. Ma per questo vi rimando direttamente a Wikipedia, dove la faccenda è narrata con la dovizia di tutti i particolari giusti.

PS Oltre che nel libro di Pastoureau, il tema si può approfondire sul web qui




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