E' risaputo che i nomi di persona non sono mai completamente neutrali: se uno si chiama con un nome un po' raro, non dico proprio Aida, ma anche Otello, Violetta, Norma, Tosca, lo sa fin da piccolo che il suo nome evoca personaggi univoci e inconfondibili. Stesso discorso per i Benito, i Palmiro, e anche i molti meno Alcide, assegnati quasi sempre con un'intenzionalità piuttosto chiara.
Molto diverso è il destino di chi porta nomi a larga diffusione, quella decina che la fanno da padrone e che da soli costituiscono la maggioranza: Antonio, Giovanni, Luigi, Francesco, Tommaso, Anna, Maria, Clara/Chiara, Luisa non veicolano alcun segnale direzionale univoco, e sono il portato di una tradizione plurisecolare legata all'importanza e alla notorietà dei santi di riferimento.
A lungo in tutta Europa il nome più diffuso è stato Giovanni: lo testimonia anche la storia dei cognomi, quelli del tipo "figlio di": i Johnson, Johansen e simili sono ancora oggi tra i più diffusi. Una curiosità: da noi, grazie alla varietà e alla fantasia che ci caratterizzano in ogni campo, onomastica compresa, questa predominanza è nascosta dietro le varianti Di Giovanni, Gianni/Giani, Ianni, Giannelli/Iannelli e via dicendo.
Tanto più risulta davvero stimolante quando qualche traccia evocativa si può trovare anche nei nomi "maggioritari" o, curiosamente -ed è di questo che voglio parlare- nel cambio di genere: non so se è una mia scoperta (dubito, le cose importanti sono state scoperte e commentate già tutte, tutt'al più non lo sappiamo), certo è che ho trovato -come si dice- intrigante la differenza marcata nella coppia Francesco/Francesca.
A lungo in tutta Europa il nome più diffuso è stato Giovanni: lo testimonia anche la storia dei cognomi, quelli del tipo "figlio di": i Johnson, Johansen e simili sono ancora oggi tra i più diffusi. Una curiosità: da noi, grazie alla varietà e alla fantasia che ci caratterizzano in ogni campo, onomastica compresa, questa predominanza è nascosta dietro le varianti Di Giovanni, Gianni/Giani, Ianni, Giannelli/Iannelli e via dicendo.
Tanto più risulta davvero stimolante quando qualche traccia evocativa si può trovare anche nei nomi "maggioritari" o, curiosamente -ed è di questo che voglio parlare- nel cambio di genere: non so se è una mia scoperta (dubito, le cose importanti sono state scoperte e commentate già tutte, tutt'al più non lo sappiamo), certo è che ho trovato -come si dice- intrigante la differenza marcata nella coppia Francesco/Francesca.
Mi spiego.
Prendete Francesco.
Lasciamo stare che nella vita comune tutti ne conosciamo a bizzeffe: belli, brutti, buoni, cattivi, intelligenti, sciocchi e così via. Ma se andiamo nella fascia alta dei "portatori", a cominciare dall' alter Christus di Assisi - segnato per primo dal dono delle stimmate, l'uomo dalle vicende così straordinarie da parere quasi fiabesche, fino alla morte profumata di leggenda- statisticamente si impone come un nome destinato a santi (San Francesco Saverio, San Francesco di Sales....) e a Re (di Francia, di Due Sicilie...).
E passando al femminile, che succede a Francesca? Non che manchino le sante: basta ricordare Santa Francesca Romana e Santa Francesca Cabrini. Ma la Francesca più famosa, quella che ricordiamo per prima quando il bel nome risuona, è Francesca da Rimini, adultera sorpresa in flagrante e uccisa, quella del quinto canto dell'Inferno dantesco (Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno,e paion sì al vento esser leggeri...) E' vero che quando leggiamo la sua storia a tutto pensiamo fuorché che Francesca stia nell'Inferno, e al fatto che con questa collocazione Dante abbia voluto rimarcare anche un personale distacco da certe suggestioni della letteratura cavalleresca: infatti c'è una vicenda nella vicenda, e gli amanti adulteri sono quattro, che si riflettono come in uno specchio, Lancillotto e Ginevra, Paolo e Francesca. Per noi e per i lettori di Dante che si sono susseguiti in 700 anni Francesca è l'archetipo dell'amore infelice e romantico, e l'ascolto di una buona recitazione del canto è ancora garanzia sicura di qualche brivido lungo la schiena: brividi e commossa solidarietà.
Ma non finisce qui: sorprendentemente, come nel riaffiorare di un fiume carsico, il nome replica la cifra dell'infedeltà in almeno due testi contemporanei. Forse ho detto "sorprendentemente" troppo presto; forse la prima Francesca ha suggestionato gli autori contemporanei, o forse il nome contiene e veicola una specie di destino?
Ezra Pound |
You came in out of the night
And there were flowers in your hands,
Now you will come out of a confusion of people,
Out of a turmoil of speech about you.
I who have seen you amid the primal things
Was angry when they spoke your name
In ordinary places.
I would that the cool waves might flow over my mind,
And that the world should dry as a dead leaf,
Or as a dandelion seed-pod and be swept away,
So that I might find you again,
Alone.
recavi fiori in mano
ora uscirai fuori da una folla confusa,
da un tumulto di parole intorno a te.
Io che ti avevo veduta fra le cose prime
mi adirai quando sentii dire il tuo nome
in luoghi volgari.
Avrei voluto che le onde fredde sulla mia mente fluttuassero
o vuota bacca di dente di leone, e fosse spazzato via,
per poterti ritrovare,
sola.
Lucio Battisti |
Con una sola differenza importante: la disperazione di Pound è conclamata, e la sua Francesca si potrebbe ritrovare solo se il mondo inaridisse, ovvero scomparisse tutto. La disperazione del testo di Mogol viceversa è sublimata da una finta incredulità, quasi quasi ancora più crudele.