mercoledì 1 aprile 2020

Tradizioni natalizie del Molise

Quando si parla di tradizioni locali c’è sempre il rischio di scivolare nel “tipico”, una vasta terra di mezzo fatta di tradizioni inventate, di costumi copiati, di musiche “popolari” omologate. A questo rischio il Molise associa la sua caratteristica di scarsa riconoscibilità nei confronti del vicino Abruzzo, con cui fino a poco tempo fa condivideva l’assetto regionale, e con cui per la verità ha molti elementi in comune, a cominciare dalle parlate: basti dire che i sei volumi del monumento linguistico di Ernesto Giammarco si riferisce ad ambedue, col titolo Dizionario dei dialetti abruzzesi e molisani. Le differenze ci sono, ma non sono certo segnate da una linea geografica precisa, dal momento che le due regioni hanno anche altre linee di faglia: tanto per dirne una, quella tra le zone prospicienti il mare e quelle dell’interno appenninico. Con tutto ciò una traccia importante della diversità ce la possono dare anche le carte geografiche antiche, con i Sanniti (molisani) a sud di Marsi e Peligni (abruzzesi) in età preromana, e nell'alto medioevo, col Molise più che altro orientato verso il ducato beneventano.

Se poi andiamo in cerca dei cibi tradizionali in un periodo così contaminabile come quello natalizio, non possiamo permetterci di essere di bocca buona. Una piccola indagine sul campo fatta per mio conto a Isernia ha fornito molti “lenticchie e zampone” come usanza di casa per il cenone di capodanno. Per dire che la globalizzazione ha spinto non solo alla celebrazione del cenone dove magari non esisteva, perché dominava il grande pranzo del primo dell’anno, ma anche all'adozione di standard culinari comuni, un po’ come nella parlata l’italiano comune che scalza il dialetto.
Per capirci di più, nella cucina e nelle tradizioni, credo che si debba fare riferimento un po’ a tutto il periodo delle feste.
Cominciamo dalla colonna sonora: su quella non ci sono dubbi: zampogne e ciaramelle segnano il territorio fin dalla Novena di Natale, a volte fin dall'Immacolata. Gli zampognari per la verità il Molise in questo periodo li ha esportati da tempi molto remoti, e ci sono studi importanti su questo tipo di migrazione stagionale. Sicuramente partivano da   tanti luoghi, ma la zona delle Mainarde ne è l’epicentro. Un nome per tutti: Scapoli, dove le zampogne si fabbricano pure. Certo, “Zampognaland” non si fa ingabbiare dalla burocrazia regionale e attraverso le valli venafrane e i sentieri aspri del Monte Meta dilaga con pieni titoli culturali nel versante laziale, in Valcomino, tra i pastori di Acquafondata, di Villa Latina, di San Biagio e di Picinisco, di cui parlò anche Lawrence in un suo romanzo.  Ma questa è proprio un’altra storia.

Quanto ai cibi sono davvero tanti, e con tante varianti nella preparazione. Vediamone qualcuno con sufficienti garanze di “tradizionalità” e senza pretese di completezza. Al primo posto direi che regna sovrana nella tradizione delle grandi feste, e quindi anche del cenone di san Silvestro, la zuppa alla santé molisana: si prepara con brodo di gallina, pollo lesso, polpettine di carne (e talora di formaggio), scarola o verza. Un piatto unico, e bello consistente, ma pare che i molisani doc ci facciano tranquillamente anche il bis. Questa zuppa, diffusa anche in altre aree del Sud Italia, in realtà ha molte varianti, da paese a paese, e anche da casa a casa: come dice un testimone “non conosco ricette, mia nonna e mia madre facevano tutto a occhio”. La leggenda dice che questa zuppa sia stata inventata da un cuoco che dovette improvvisare il pranzo per una regina di Francia, e utilizzò gli ingredienti che aveva a disposizione.
In molte case si mangia il baccalà in pastella, come alla Vigilia di Natale. Una sua variante molto raffinata è rappresentata dal baccalà arracanato, cioè “origanato”, che si prepara col caciocavallo stagionato di Agnone.

Nella sera di san Silvestro cibo e folklore si mescolano: a Venafro e a Pozzilli ai gruppi che vanno cantando e suonando di casa in casa augurando buon anno e abbondanza (l’usanza si chiama "sciusce pe sciusce”) viene distribuito vino con i “sciusci”, sorta di ciambelle salate profumate i rosmarino lievitata a lungo nelle ceselle di legno. Una variante dei sciusci sono le “pezzelle” di fine anno di Vastogirardi, fatte con farina, uova, sugna, zucchero e vino bianco.
Per tutto il periodo delle feste nelle case si preparano (e si consumano)  i “cavesciune” o “caciune”, una specie di panzerotto farcito con ripieno dolce o salato.


(un adattamento di questo articolo è comparso su Cultura e Identità del Dicembre 2019)

Agli occhi dei più il Molise appare come un’appendice dell’Abruzzo, con cui per la verità ha molto in comune, a cominciare dalle parlate. Ma la natura montuosa del territorio e le vicende storiche hanno favorito la conservazione di usanze arcaiche e di una certa specificità nei cibi, anche se ovviamente non sempre con un confine netto.
Non si deve trascurare il contrappeso dell’omologazione, che ha enfatizzato la cena di San Silvestro, anche dove Capodanno si celebrava soprattutto con un grande pranzo il primo dell’anno, e ha introdotto piatti standard: da un’indagine condotta familiarmente a Isernia emerge un bel po’ di “lenticchie e zampone” come piatto tipico per il cenone.
Per avere un quadro significativo delle tradizioni di Capodanno bisogna considerare tutto il periodo delle feste, le due settimane dopo il solstizio caratterizzate da gran consumo di cibo, musica e significative rappresentazioni basate sul fuoco, come la Ndocciata di Agnone e la Faglia di Oratino. 
Sulla colonna sonora non ci sono dubbi: la musica è quella delle zampogne, che cominciano dalla Novena di Natale, a volte dall’Immacolata. E’ risaputo che gli zampognari il Molise li ha sempre esportati, una vera e propria migrazione stagionale che è stata anche oggetto di studi. Si muovono per lo più dai centri del Matese e delle Mainarde, San Polo Matese, San Massimo, Guardiaregia e Scapoli, per fare qualche nome. La cultura di “Zampognaland” ovviamente non rispetta il confine e, attraverso le valli venafrane e i sentieri della Meta, dilaga nel versante laziale delle Mainarde, tra i pastori della Valle di Comino.
I cibi invece hanno tante varianti locali. Nelle grandi feste, e quindi anche a Capodanno, regna sovrana la zuppa alla santé molisana. Si prepara con brodo di gallina, pollo lesso, scarola, polpettine di carne, formaggio. Diffusa anche in altre aree del Sud Italia, varia perfino da casa a casa: come dice un testimone, “non conosco ricette, mia nonna faceva tutto a occhio”. Altro ospite d’onore è il baccalà in pastella. Una sua variante più elaborata è il baccalà arracanato, cioè “origanato”, che si prepara col caciocavallo di Agnone.
Durante le due settimane delle feste nelle case si consumano i “cavesciune”, panzerotti con ripieno dolce o salato, e i pepatelli, simili ai cantuccini, ma con l'aggiunta di un pizzico di pepe.
L’acme della mescolanza tra cibo e folklore si raggiunge nei cortei di san Silvestro. A Venafro ai gruppi di musicanti che vanno augurando buon anno viene distribuito vino con i “sciusci”, ciambelle salate fatte con una pasta profumata di rosmarino; a Vastogirardi si usano le “pezzelle” al vino bianco.
Altrove i cantori girano per le strade improvvisando sfottò: sono le “maitunate”, per le quali a Gambatesa si svolge una vera e propria gara con premi.