Nel consorzio umano abbiamo quasi ovunque surrogato queste esigenze con detenzione a vita o comunque lunghissima, mentre ha assunto crescente importanza l'aspetto rieducativo della pena.
Ma per gli animali che senso ha? Forse resta in piedi solo quello ancestrale della vendetta. Per il resto non credo ci si aspetti che gli orsi del Trentino vengano a sapere che uno di loro è stato fucilato e che uccidere un essere umano può comportare la pena di morte.
Se di orsi ce ne sono troppi e se i trentini vogliono tenere il territorio come un grande parco urbano dove girare e correre in sicurezza, prima di tutto non dovrebbero attivare progetti –pure finanziati- per ripopolarlo con animali di quel tipo, senza peraltro commisurarne adeguatamente l’impatto con un territorio così antropizzato e turisticizzato; adesso che la frittata è fatta però dovrebbero studiare le modalità per trasportarli in altri luoghi, più adatti, o meno popolati, o meno propensi a trasformarsi totalmente in Disneyland del turismo vagante nella natura sterilizzata e confortevole.
Qualcuno potrebbe obiettare che l'abbattimento degli animali pericolosi viene disposto anche per quelli domestici, come per esempio può accadere quando un cane sbrana un essere umano. Ma è molto diverso, se non altro perché il cane coabita abitualmente con l'uomo e può reiterare il comportamento feroce, almeno così dicono. Oppure può avere la rabbia, e dunque c’è un motivo sanitario. Sebbene anche nel caso domestico non trascurerei del tutto la componente "vendetta" nei confronti di un animale magari allevato per assalire o tenuto in condizioni detentive inappropriate. A questo proposito sono interessanti, anche per l’antropologia culturale attuale, certi processi medievali - con condanna a morte seguita da esecuzione pubblica ovvero da assoluzione - nei confronti di animali ritenuti capaci di una qualche intenzionalità e dunque dotati di responsabili penale. Celeberrimo il caso della scrofa assassina celebrato nel 1266 a Fontenay-aux-Roses, in Francia. Secoli dopo, nel 1750, una femmina d’asino fu assolta dalle accuse di bestialità a causa delle testimonianze degli uomini, che ne acclamarono le virtù e la sua generale buona condotta.
Comunque sia non si può applicare la categoria della domesticità e della prossimità a un orso che si aggira nei boschi, si spaventa o difende i piccoli: tanto è vero che in 150 anni in Italia registriamo un morto e alcuni episodi di aggressione pericolosa da parte di orsi, avvenuti quasi tutti in Trentino e in questi ultimi anni: si tratta di numeri infinitamente minori di altri eventi tragici dovuti alla frequentazione della natura, alpinismo, immersioni, incidenti di caccia. Un mondo totalmente privo di rischi si può avere soltanto restando in casa. Ma, lo sappiamo, solo fino a un certo punto: basta un terremoto di media intensità a scalfire questa sicurezza e a richiamarci al fatto ineludibile che siamo inseriti in un cosmo non sempre amichevole.
Pubblicato senza sostanziali modifiche su L'Occidentale del 18 aprile 2023