Voi
credevate che l’eccellenza toscana fosse quella alimentare, che so l’olio
d’oliva o la ribollita, o magari il lampredotto? e che quella artistica e storica
fosse racchiusa nelle sue splendide città e nei suoi borghi suggestivi? Tutta
roba scontata.
Voi
credevate che i problemi della Toscana fossero la recessione, il lavoro dei
giovani, la fiscalità che opprime l’artigianato e l'impresa? Tutta roba banale.
Voi credevate
che i problemi della Toscana costiera fossero i trasporti e la sudditanza a
Firenze della sua classe dirigente? Tutti discorsi faziosi.
La Toscana
rossa e pensosa vola in alto, fa la prima della classe e si dà una nuova mission: fermare l’ondata antifascista
che dilaga nelle sale comunali e negli spazi pubblici.
E come?
Sul Giornale dell’11 novembre se ne è
occupata Eleonora Mancini, riferendo di una delibera
approvata nel comune di San Giuliano
Terme (in provincia di Pisa) che introduce l’obbligo di certificazione preliminare
alla concessione di spazi pubblici, con tanto di autodichiarazione di adesione
ai valori della Resistenza e dell’antifascismo. La giornalista evidenzia il
carattere censorio e probabilmente anticostituzionale di questa curiosa
procedura adottata dal comune pisano, noto faro antifascista, e nello stesso
tempo apre una finestra inquietante su un percorso più ampio, che dovrebbe
coinvolgere molti altri comuni toscani, a cominciare, pare, da Pisa, Prato e
Siena: il gruppo consiliare PD in Regione ha presentato una mozione, prima firmataria Alessandra Nardini, giovane esponente
della sinistra dem dell’area pisana (per capirci, di quell'area che forse dovrebbe
indurre il suo partito a preoccuparsi di più del tentato scippo dell’aeroporto
da parte del giglio magico renziano), con lo scopo di impegnare la presidenza
a “vietare
l’utilizzo di sale e spazi all'interno delle sedi del Consiglio regionale per
le associazioni o manifestazioni che si richiamano al fascismo o che abbiano
orientamenti razzisti, xenofobi, antisemiti, omofobi e, in generale,
discriminatori. Questo l’obiettivo della mozione con cui si impegna l’ufficio
di presidenza ad intervenire sul regolamento del Consiglio Regionale e si invita
la Giunta Regionale ad approvare un analogo provvedimento e sensibilizzare i
Comuni che ancora non l’hanno fatto ad adottare iniziative in tal senso”.
Il proposito censorio dunque si
allarga, e -giacché ci siamo, pensano gli scaltri imbavagliatori- facciamo un bel pacchetto e ci mettiamo dentro
anche gli xenofobi, i razzisti e, ovviamente, gli immancabili omofobi.
A parte il fatto che nell’elenco delle
perversioni alla Nardini e compagni sono sfuggite di sicuro la transfobia in sequenza
con almeno un’altra decina di fobie di nebulosa identificazione penale e incerta
collocazione intellettuale, c’è invece una dimenticanza che si deve registrare
con preoccupazione e che meriterebbe ben altro clamore e indignazione nell'opinione
pubblica rispetto al quasi totale silenzio che avvolge queste iniziative
estemporanee: chi decide? ossia, sarebbero gli stessi comuni rossi, magari personificati dai loro
assessori-militanti, ad escludere associazioni, convegni e presentazioni di
libri che non siano riconducibili alla vetusta vulgata antifascista, quella obbligatoria prima del dibattito -da tempo acquisito nella storiografia- innestato
dai De Felice, Gentile, Nello, Perfetti, Parlato? Sarà possibile parlare del
fascismo nei termini in cui loro lo hanno studiato, o magari nei termini di un
Veneziani e perché no di Pennacchi? Non rischia anche l’interpretazione della
Resistenza come guerra civile, propria di uno storico di sicurissima
appartenenza alla sinistra come Claudio Pavone? E Giampaolo Pansa col
suo Sangue dei vinti sarà bandito dai
comuni democratici? E ancora, di più, la galassia indistinta e maldefinita
dell’omofobia comprenderà anche chi sostiene che gli umani nascono dalla differenza sessuale maschio/femmina o
combatte l’utero in affitto, come asseriscono le più agguerrite associazioni
LGBTq a cui fanno da megafono tanti assessori PD?
Non sono domande da poco perché, al
netto della solerzia da prima della classe della (in verità sempre meno) rossa
Toscana, emerge un preoccupante disegno censorio che consegnerebbe la libertà
di espressione e di cultura all’arbitrio dei detentori della macchina
amministrativa dei comuni.
E’ una preoccupazione esagerata? La
smentiscano, ritirando queste orwelliane delibere di esame democratico
preventivo, e si comportino da liberali, dimenticando minculpop e dirigismo
culturale, e lasciando semplicemente all’eventuale denuncia penale le eventuali
violazioni della legge.
(L'articolo è stato pubblicato, con lievi differenze e privo di link, su L'Occidentale del 13 novembre 2017)
Nessun commento:
Posta un commento