mercoledì 27 marzo 2019

Unità d'Italia: una festa poco sentita....e poco riuscita

Il 17 marzo si celebra l’anniversario dell’Unità d’Italia, ossia della proclamazione del Regno d’Italia avvenuta il 17 marzo 1861. Ma è una festa che passa quasi inosservata e, tra i pochi che la ricordano, una fetta consistente la confonde con la Festa del Tricolore, in cui si commemora l’adozione del tricolore da parte della Repubblica Cispadana il 7 gennaio 1797.

Tanto per cominciare, la data del 17 marzo si presenta un po' maluccio: è il giorno in cui Vittorio Emanuele II di Sardegna divenne Re d'Italia. Attenzione: secondo. In questi casi, con la nascita di un’entità statuale nuova, si dovrebbe ricominciare da uno, e nella storia non mancano esempi. 
Ancora più stupefacente fu la vicenda della numerazione delle legislature: il 18 febbraio si riunì a Torino, presso Palazzo Carignano, già sede del Parlamento Subalpino, il nuovo Parlamento che già si definiva italiano, pur numerandosi come VIII legislatura, continuando così la numerazione delle legislature del Regno di Sardegna.
Aver conservato la numerazione dinastica e parlamentare del Regno di Sardegna "fa tanto annessione", prima di tutto sul piano simbolico, che non sarebbe mai da sottovalutare.
E di annessione forzata parlano i meridionali, di forzata laicizzazione parlano i cattolici, di unificazione centralista parlano i federalisti. Insomma, l'unità nazionale appare a molti come un'operazione fatta dall'alto, in contrasto con l'identità profonda della nazione italiana, caratterizzata dalla pluralità delle storie municipali e regionali e dal radicamento nella tradizione cristiano-cattolica.

Se confrontiamo la situazione attuale col 1961, quando si celebrò il centenario dell’unità in un clima sostanzialmente unanimistico, il minimo che possiamo notare è che queste riserve oggi hanno una circolazione molto più forte, e che non c'è quasi nessuno che non le consideri in tutto o in parte ragionevoli. 
La sottolineatura del carattere poco popolare del Risorgimento d'altronde fa parte anche di una consolidata lettura di sinistra della storia italiana, come pure da tempo è stata evidenziata la brutalità della repressione piemontese nella "conquista del Sud", usando il titolo fortunato di un libro di Carlo Alianello che in qualche modo ha fatto epoca, fino a diventare praticamente un luogo comune della narrazione diffusa nel Meridione. Sono largamente conosciute anche alcune delle più consistenti doléances, come l'introduzione della coscrizione obbligatoria, l'impoverimento ulteriore dei ceti contadini - non solo al Sud, ma anche in vaste aree del Centro e del Nord-  e il massiccio ricorso all'emigrazione come uscita dalla grave crisi sociale. 

D’altra parte l'unità nazionale d'Italia, anche se dal punto di vista statuale è stata conseguita solo nel 1861, non è certo un’invenzione della retorica risorgimentale: ha radici lontane e, andando anche oltre l’insuperata consapevolezza dantesca, la si potrebbe far risalire fino alla riforma di Augusto, e alla contestuale organizzazione delle regiones, con la loro stupefacente persistenza nel tempo. A questo proposito è stato osservato come l’Italia sia l’unica nazione europea che ha un “battesimo” precedente al Medioevo.  Perciò non si dovrebbe accettare superficialmente la negazione dell'unità in nome dei difetti con cui l'unità politica è stata realizzata. 

Piuttosto è necessario insistere sulla riformulazione del patto fondativo nazionale, valorizzando le identità trascurate e inserendo definitivamente le pluralità storiche e territoriali nella "narrazione" unitaria della nazione italiana. I processi di allargamento dell’autonomia regionale in atto, opportunamente governati e bilanciati, possono essere un’occasione da non sprecare, se si ha a cuore la “lunga durata” dell’idea di Italia. In questo contesto la proposta della macro-regione meridionale, lanciata da Caldoro, Quagliariello e Sansoni, non solo è di pressante attualità, ma anche di profonda lungimiranza.
C’è da dire che le prospettive autonomistiche proprie del patrimonio tradizionale della Lega e quelle “comunitarie” care ad ampi settori delle destre tradizionali, anche di matrice cattolica, in più di un osservatore suscitano riserve: in primo luogo quelle frutto di una visione risorgimentalista e nazionale, legate alla preoccupazione per la disintegrazione dell’unità. Ma poi, si obietta ancora, per un verso l'enfasi sull'identità territoriale può virare verso la negazione del concetto romano di cittadinanza, mettendo in primo piano una visione legata al "sangue"; per un altro l'enfasi sulla composizione comunitaria della società (corpi sociali intermedi più che individui) può lasciare in ombra la concezione prevalente nelle costituzioni moderne, che tutelano le libertà individuali di pensiero, di comportamento, di opzione religiosa e politica. Anche un conservatore di rango come Scruton ha evidenziato questi punti critici, sottolineando la differenza tra appartenenza ad una nazione con la cittadinanza, e appartenenza per fede o per sangue ad altre – legittime- tipologie di società.

La scommessa di un centrodestra di governo (*) sta nella capacità di armonizzare la prospettiva identitaria e comunitaria con la tenuta dell’unità nazionale e con le acquisizioni irrinunciabili della società liberale, basata sull'individuo e sull’habeas corpus: anche da questo dipende la possibilità di successo di un progetto politico-culturale di ampio respiro.

Certamente l'unità politica e culturale d'Italia si può e si deve festeggiare, ma con la giusta consapevolezza che è necessario affrontare con coraggio le vecchie piaghe: prima tra tutte quella della crescente arretratezza del Sud, che pone una seria ipoteca sulla possibilità di continuare a essere una nazione. Da questo destino avverso non ci salverà certo la retorica patriottica, ma neppure quella vittimistica.
 
*A due anni di distanza aggiungo che col governo di sostanziale unità nazionale presieduto da Mario Draghi si presenta l'opportunità di affrontare in modo trasversale l'arretratezza crescente del Sud, facendo fruttare al massimo l'incarico per la coesione territoriale ora affidato a Mara Carfagna. 
17-3-2021




(Pubblicato senza sostanziali differenze su Occidentale del 17 marzo 2019)

sabato 2 marzo 2019

Riti millenari all'Acqua Santa, di Aldo Venturini

RITI MILLENARI, PAGANI E CRISTIANI [1]

In località Acquasanta, presso Pietrafitta, in comune di Settefrati, appena la vedi, il cuore sobbalza come in una Polacca di Chopin.
E’ la Cappellina di Santa Felicita, unica in tutta la Diocesi.





Si presenta a pianta quadrangolare con volta a botte. All'interno, sulla parete di fondo, c’è un piccolo altare sormontato da un quadro raffigurante la Santa, circondata dai sette figli, che impugna la palma simbolo del martirio subìto attorno al 150 dopo Cristo.






Al centro del pavimento si apre un tombino che permette di vedere una polla d’acqua sorgiva.

Ecco, dunque, dove si riscontra l’unicità e la sacralità di una Cappellina costruita su di una sorgente. L’acqua ribollente si riversa, attraverso tre bocchette, nella vasca in pietra che divide la cappellina dal piazzale antistante. 


La sorgente per le sue qualità terapeutiche viene chiamata ‘Acqua Santa’. Ne hanno parlato gli storici alvitani Giulio Prudentio [2] nel 1574 e Giovanni Paolo Castrucci [3] nel 1633 scrivendo che sul luogo accorreva gente da tutta la contea di Alvito e dai paesi limitrofi.  Venivano con i loro figlioletti, soprattutto i più gracili. Dentro un canestro li immergevano nudi nella vasca, tre volte. E il Prudentio conclude "et più mirabile cosa che i figliolini dopo pochi giorni si vedono robusti e coloriti e con appetito naturale".

Lo storico Don Dionigi Antonelli ha raccolto nel suo libro Settefrati nel Medioevo di Val Comino [4] due testimonianze orali attestanti, ancora nel secolo scorso, la pratica dell’immersione di bambini nella vasca. La prima testimonianza è stata fatta da padre Marcellino passionista di Sora, al secolo Cesidio di Benedetto nativo di Campoli Appennino. La seconda è stata rilasciata dalla sig.ra Antonietta Nizzardo, Nenetta, la mia indimenticabile nutrice, che insieme ai suoi fratelli fu immersa dai suoi genitori nell'Acquasanta.

La Cappellina è meta, ancora oggi, di pellegrinaggi. Il 10 agosto di ogni anno pellegrini di compagnie di Scanno (Aquila), Pettorano (Aquila) e di Terelle (Frosinone), in viaggio verso il Santuario di San Gerardo, sono soliti soffermarsi presso la Cappellina con il triplice scopo di pregare la Santa, di mangiare e rinfrescarsi e non ultimo, di farsi ‘commare e compare’.
Il rito di comparatico consiste, come attesta lo storico Eugenio Maria Beranger [5] "nello stringere, incrociandoli, i mignoli, nello spruzzare l’acqua santa sopra le mani e nel recitare tre Padre Nostro, tre Credo e tre Gloria al Padre". Al termine di ogni preghiera, la persona che ha proposto il comparatico traccia il segno di croce sulla palma della mano destra dell’altro, mentre alla fine del rito si ripete insieme "Santa Felicita, prega per noi; Santa Felicita, accompagna noi; Santa Felicita, cammina con noi". Solo allora si è ufficialmente compare e comare. E’ un impegno di amicizia che dura tutta la vita, un’usanza che si praticava anche a Canneto fra i pellegrini lungo le rive del MelfaDopo questa sosta, i pellegrini ripartono alla volta del Santuario di San Gerardo, dove vengono ricevuti, con grandi accoglienze, dalle Autorità e dalla popolazione di Gallinaro.


Ma la festa liturgica di Santa Felicita cade il 10 luglio.

Con una scaletta di legno, calata come ponte levatoio, il sacerdote accede alla cappellina e dice messa. Alcuni anziani assistono alla liturgia.

Torna alla mente Domenico Colarossi, che, insieme ad alcuni compaesani, provvedeva alla manutenzione della struttura. Era sempre lui che andava incontro ai pellegrini poco prima della chiesetta e procedeva allo scambio di piccoli doni.
Il Priore degli Scannesi, recante nella mano sinistra il classico ‘bastone di San Gerardo’, porgeva biscotti e dolci e il nostro Domenico una cesta di “lécene”, saporite e profumate susine.
Erano piccoli, grandi gesti di un rito millenario da parte degli ultimi custodi di questa meravigliosa tradizione.
Ma un gruppo di passeri chiassosi irrompe sul piazzale con i loro battibecchi di corteggiamento e ci riporta alla realtà. Poco più in là, le macchine sfrecciano veloci lungo la superstrada.
Purtroppo, i nuovi anoressici spirituali del duemila non hanno più voglia né tempo per recitare una preghiera e per ascoltare il crepitio dei lumini accesi su di un altare spettinato dal vento.

Aldo Venturini



[1] Il testo è stato pubblicato per la prima volta su Settefrati.net il 17 gennaio 2010; poi ripubblicato in più riprese sulle pagine Facebook Settefrati Il Giornale e Parrocchia San Michele Arcangelo Pietrafitta.
[2] Pag. 243. La Discrittione di Giulio Prudenzio, nipote per parte materna dellʼumanista Mario Equicola,  circolò in più redazioni manoscritte; tra le dizioni a stampa disponiamo in anastatica di quella pubblicata a Chieti nel 1908 (r. in Domenico Santoro, Pagine sparse di storia alvitana, s.i.l. 1974).
[3] Pag. 78. La Descrizione del Ducato di Alvito (edizione del 1863) del Castrucci è disponibile on line qui. L'editio princeps del 1633 porta il titolo Descrittione... Sui due storici alvitani Prudenzio e in particolare Castrucci si veda lo studio di Lorenzo Arnone Sipari, apparso su Studi Cassinati, n.1(2017).
[4] Dionigi Antonelli, Settefrati nel Medioevo di Val Comino, Castelliri, Tipografia Pasquarelli, 1994, pag 5.
[5] Eugenio Maria Beranger, Santa Felicita a Pietrafitta in comune di Settefrati, in "Tradizioni popolari e folklore a Ferentino: atti del convegno... 11 dicembre 1994, a cura di Biancamaria Valeri, Casamari, 1996, pag. 9-31.
Il testo, accurato come tutti i lavori del compianto Beranger, è ricco di particolari storici e folklorici e dotato di una strumentazione bibliografica di prim'ordine. Tra l'altro il B. sottolinea come questo luogo di culto, meta di un pellegrinaggio "transappeninico"abbia avuto - insieme ad altri (La Madonna di Canneto a Settefrati, S.Angelo a Balsorano, la Madonna delle Grazie a Sora, la Madonna del Buon Consiglio di Genazzano, La Santissima Trinità di Vallepietra e, ovviamente Loreto e Monte Sant'Angelo)  - un ruolo importante nella formazione della koiné laziale-abruzzese, su cui aveva tanto insistito Ernesto Giammarco (di cui si veda Area culturale del Lazio meridionale, Sora, 1978). il Beranger sottolinea anche il diffuso legame dei luoghi culto della santa con la presenza di acque sorgive, e sacre.