giovedì 18 aprile 2019

Due riflessioni (preoccupate) sul caso Scruton

Il 10 aprile Roger Scruton è stato rimosso dall'incarico di presidente della commissione governativa britannica che si occupa di edilizia residenziale.
Il fatti e le circostanze sono abbastanza noti. Dico abbastanza perché è vero che in Italia i lettori di Tempi, della Verità, del Foglio, di Atlantico quotidiano, della Nuova Bussola quotidiana sono stati ragguagliati sull'evento: potrei aver omesso qualche testata, ma all'ingrosso possiamo affermare che i giornaloni mainstream non hanno certo fatto la ressa con interviste e inchieste su questo inquietante caso di censura e di attacco alla libertà di pensiero, che ha fatto traballare anche il mito britannico del free speech.

Li riprendo un po’ per sommi capi, per chi non li avesse presenti, ricordando che su La Nuova Bussola Marco Respinti ne ha fatto una ricostruzione accurata e per quanto ne so anche esaustiva.
Intanto perché mai Scruton presiedeva la Commissione per la riqualificazione dell’edilizia residenziale? E’ noto che Sir Roger Scruton -a cui nel 2016 era stato conferito il Cavalierato (Kinghthood) “per i servigi resi alla filosofia, all'insegnamento e all'educazione pubblica” - non è solo uno dei più importanti pensatori conservatori viventi, come dimostrano i suoi oltre 50 libri e le decine di articoli, ma vanta un cospicuo retroterra di studi e di insegnamento universitario nel campo dell’estetica. E la commissione, chiamata significativamente “Building More, Building Beautiful” era stata istituita dal ministro britannico per l’Edilizia residenziale, il conservatore Christopher Malthouse, appunto per contribuire con consigli e consulenze al miglioramento della qualità dell’edilizia.
Però è chiaro che il “licenziamento” di Scruton non ha a che fare direttamente con l’attività della commissione, anche se fin dal momento della nomina gli attacchi contro di lui e contro la sua nota libertà di parola anche su temi controversi si erano moltiplicati.
Il caso è deflagrato in seguito a un’intervista apparsa su New Statesman, nella quale si leggevano delle considerazioni –disdicevoli secondo i parametri del politicamente corretto -  sul ruolo di George Soros nella politica ungherese, sulla politica del partito comunista cinese nei confronti del popolo cinese e sul termine “Islamofobia”, che secondo Scruton sarebbe stato introdotto nel lessico politico dai Fratelli Musulmani per paralizzare le critiche al fondamentalismo islamista.
Sui retroscena dell’intervista-trappola è stato sollevato un velo impietoso da Douglas Murray, dello Spectator, che ne ha messo a nudo le manipolazioni ad opera del vicedirettore del New Statesman, George Eaton, acerrimo nemico di Scruton, al punto di apparire su Instagram ritratto con una bottiglia di champagne per festeggiare la sua “cacciata” dalla commissione. Ancora il 16 aprile Murray è intervenuto chiedendosi "quando i detrattori di Scruton ammetteranno di essersi sbagliati".
In sostanza pare che la critica di Scruton ai Fratelli Musulmani sia stata trasformata in una critica all'Islam e i cinesi sono stati ridotti tout court ad automi, mentre lui aveva detto che il Partito Comunista Cinese sta cercando di trasformare i cinesi in automi.

Nonostante la contro-inchiesta e le smentite, nonostante che in passato Scruton abbia difeso Soros dal tentativo di Orban di chiudere d’imperio la sua università a Budapest, e che niente delle critiche a Soros e al suo ruolo nella politica ungherese fosse minimamente riferibile ad atteggiamenti antisemiti, da cui Scruton è da sempre sideralmente distante, ad oggi non vi sono segnali di resipiscenza da parte del governo. Ma staremo a vedere se e cosa accadrà nei prossimi giorni.

Il gravissimo episodio, che non è una novità, ma si va ad aggiungere a una sequenza di discriminazioni ormai attive in tutto l’Occidente, dovrebbe però stimolarci a una serie di riflessioni, oltre la giusta riprovazione e oltre il lamento sulla nequizia dei tempi. E provo subito a lanciarne un paio.
La prima è che il tiro delle lobby del politicamente corretto si è alzato moltissimo: oltre a colpire opere letterarie, favole, protagonisti della storia e della cultura, revisionandone le trame o espellendoli dal Gotha dei maestri (ne possiamo trovare una consistente campionatura nel libro Politicamente corretto di Eugenio Capozzi, mai abbastanza consigliato), ormai l’obiettivo sono diventati i singoli pensatori e il loro ruolo pubblico, anche quando si tratta di personaggi del livello e del prestigio sociale e culturale di Roger Scruton, e anche a costo di fabbricarci sopra delle notizie stiracchiate o direttamente falsificate.
La seconda è che la “cacciata” è stata operata da un ministro conservatore di un governo conservatore: non sappiamo quanto questo sia stato fatto volentieri e quanto viceversa sia dovuto alla enorme pressione delle lobby. Ma dobbiamo prendere atto che gli spazi di protezione si stanno riducendo a vista d’occhio (potremmo dire che l’Ombra cresce, evocando Tolkien) e forse non possiamo continuare a pensare con lo schema del “governo amico”, ma al massimo di quello meno dannoso.

In ogni caso chi non vuole rassegnarsi deve concludere che ambedue le riflessioni conducono alla necessità impellente di una battaglia culturale molto ben fondata, e combattuta intelligentemente con obiettivi possibili.
Come ogni vera battaglia culturale, si dovrebbe cominciare dalle parole, e innestare un’energica reazione contro l’introduzione di un lessico che impedisce alle persone di parlare, e le costringe a spararsi addosso, secondo la felice espressione che mi ha formulato in un messaggio un caro amico psichiatra che “sta sul pezzo” a Londra: da una decina di anni l’introduzione di termini che rinviano a disagi psicologici o a vere e proprie patologie psichiatriche sta avvelenando il lessico politico, e sta sostanzialmente riportando in auge la psichiatrizzazione del dissenso, che era abituale nell'universo concentrazionario sovietico. Non dobbiamo dedurre per forza che le cose si ripetano del tutto intenzionalmente: probabilmente all'inizio questi termini vengono usati in senso metaforico, diventando poi man mano, a valanga, motivazioni di atti politici, di iniziative censorie e perfino di proposte di legge. Per finire, spaventosamente, alla riduzione a malato mentale dell’interlocutore con opinioni in contrasto con le proprie. Questa deriva, comprensiva della diagnosi "in assenza", praticata da personaggi quasi sempre del tutto estranei alla professione medica, è stata individuata da alcune voci libere e responsabili, ma stenta a farsi strada nel discorso pubblico, dove si manifesta invece con virulenza crescente.
Il rifiuto di una terminologia basata su termini come omofobia, islamofobia (e altre astruse e pittoresche varianti di origine psicopatologica che vengono appiccicate agli interlocutori senza mai spiegare quale medico abbia emesso la diagnosi) dovrebbe essere il primo passo per bandire dalla nostra società il virus orwelliano che vi si è installato. Senza neppure lontanamente tentare di combatterlo con espressioni di parte opposta, ma ugualmente fuorvianti: ma questa è ancora un’altra storia, e comincia dal brutto “oiko-fobico” in cui è cascato anche Sir Roger. Bisognerà riparlarne.

[Pubblicato sull'Occidentale del 17 aprile con leggere differenze e senza link ipertestuali]

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