domenica 20 ottobre 2019

La destra francese tra Marine e Marion

Osservando lo spettro politico francese, a destra della destra da un po’ di tempo troviamo il fenomeno impetuoso del Front National e dei suoi leader, prima Jean-Marie e poi Marine. Il Fronte, che da ultimo aveva cambiato il nome in Rassemblement national, a più riprese è parso inarrestabile, ma al dunque non è mai riuscito a fare il salto decisivo verso la Presidenza e ha avuto risultati molto modesti alle elezioni regionali.

Questa impasse si è palesata con chiarezza nelle ultime presidenziali, quando alla fine Marine – che nei sondaggi fino ad un certo punto sembrava che sfiorasse la vittoria – è stata sconfitta da Emanuel Macron.

La débacle ha messo a nudo i mugugni e le perplessità che già serpeggiavano nel movimento: nel dibattito tra primo e secondo turno Marine era sembrata del tutto inadeguata alla situazione, e Eric Zemmour, il controverso intellettuale considerato ministro della cultura in pectore, si spinse a parlare di “incompetenza crassa”, mettendo anche sotto accusa le parole d’ordine di sinistra che il Rassemblement aveva adottato, seguendo le indicazioni strategiche ‘trasversaliste’ del suo consigliere Florian Philippot.

Sui temi etici, e non solo, il RN nella sua campagna elettorale era stato quanto meno ambiguo, e sicuramente lontano dalle tesi di movimenti come Manif pour tous, con la cui alleanza invece era stata cementata la sfortunata candidatura neogollista di François Fillon, (auto?) affondata in tempi brevissimi e con modalità che ancora oggi stupiscono.

Dopo il colpo negativo delle presidenziali varie “teste d’uovo” abbandonarono il Rassemblement, e mentre Florian Philippot fondava un suo movimento, Les Patriots (LP), Eric Zemmour si avvicinava alla giovane nipote di Marine, Marion Maréchal, che, dopo aver lasciato la casa politica di famiglia, cominciava a muoversi per conto suo, affrontando le scelte politiche a partire da una ridefinizione del senso complessivo e dei contenuti culturali della destra.

La vittoria di un personaggio “terzo” come Macron, con una forte capacità attrattiva verso la parte più liberal e tecnocratica dei Républicains, il partito di centrodestra erede del gollismo, costringeva comunque a un ripensamento.

Di fronte allo scenario del macronismo trionfante, con la sinistra storica in grande difficoltà al pari del centrodestra, Marine Le Pen ha accentuato la narrazione della insussistenza del clivage destra/sinistra, sostituito a suo parere dall’antitesi mondialismo/patriottismo: l’obiettivo dichiarato di questa strategia, sebbene non trovi molto conforto nei risultati delle elezioni, è ancora quello di raccogliere il voto della “Francia profonda”, oltre le vecchie categorie di destra e sinistra, e battere il mondialismo globalista di Macron. Dall’altra parte Marion, senza entrare al momento in competizione diretta con la zia, e negando – sempre al momento- di volersi candidare alle presidenziali del 2022, si sta muovendo con un intreccio ambizioso di cultura e politica. Per ora la consegna è sempre identica: “Non è un ritorno politico. Forse è un ritorno alla vita pubblica, ma per la metapolitica”

L’obiettivo dei reiterati convegni, che nelle sue intenzioni saranno supportati da una vera e propria accademia di formazione politica, l’ISSEP, è quello “di staccare la spina al 68”, e di creare le condizioni culturali per una rinascita di un conservatorismo adeguato alla sfida attuale. Il 28 settembre ha chiamato a raccolta il milieu conservatore con una vivace “Convention de la droite”, a proposito della quale Marco Gervasoni su Atlantico ha potuto parlare di “conservative renaissance”, perché [Marion] ha intuito che “la crisi della destra è crisi di identità, di progetti, di valori, di cultura”. Accanto a lei si muovono, oltre a Zemmour, vari intellettuali come Elisabeth Lévy, direttrice del Causeur, Jacques de Guillebon, dell’Incorrect, Gérard Leclerc, giornalista e saggista cattolico, e Jean Sévillia, firma storica del Figaro.

Ma la strategia non è confinata in una specie di iperuranio delle idee. Molto concretamente, alla diagnosi che “il Rassemblement national non è più sufficiente”, segue il tentativo di allargare il nuovo fronte conservatore agli ambienti dei Républicains refrattari all’assorbimento nel macronismo. Se questo tentativo riuscisse, costituirebbe un superamento della “conventio ad excludendum” vigente nella destra francese: la conventio, radicata nella frattura storica e culturale tra gli eredi di Vichy e gli eredi della resistenza gollista, ha finora impedito la saldatura di una robusta coalizione di centrodestra.

Rivitalizzare le idee conservatrici e su questa base coltivare i contatti con gli uomini e gli ambienti del centrodestra di origine gollista con cene, incontri e convegni: la doppia articolazione della strategia di Marion Maréchal e del suo mondo di riferimento, volta ad impedire l’assorbimento dei “moderati” nel centrismo macroniano, non sembra evocare problemi, esigenze e soluzioni impellenti anche dalle nostre parti? La contingenza politica italiana al momento pare segnata dal tentativo di ricomposizione di un centro in grado di “tenere in frigorifero” il consenso, sia pure cospicuo, della destra sovranista, magari con l’aiuto di una nuova legge elettorale: forse che anche al centrodestra italiano non serve una ricetta di rifondazione conservatrice alla Marion, maggioritariamente inequivoca e senza sbandamenti verso le sirene centriste?

(Pubblicato sull'Occidentale 8-10-2019)

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