L’editore Bietti nel 2019 ha ripubblicato “La vista, l’udito e la memoria” di Piero Buscaroli (1930-2016). Decisamente una buona notizia: abbiamo scampato il pericolo di trovarlo soltanto nel circuito dell’usato o per strada, come è capitato a me, che il vizio di dare almeno un’occhiata alle bancarelle non l’ho mai perso, e quindi ho la meritata fortuna di possederlo nell'edizione Fògola del 1987.
Il libro già dal titolo indica le tre grandi aree di interesse (arte, musica, storia politica) che Buscaroli coltivò con competenza per una sessantina di anni, dalle prime esperienze giornalistiche nel 1954 con la fondazione de ‘Il Reazionario’, alla collaborazione col ‘Borghese’ (a questa fase risalgono tra l’altro i suoi indimenticabili reportage di inviato speciale in Vietnam), alla direzione del ‘Roma’ di Napoli, al contributo come critico musicale sul ‘Giornale’, all'insegnamento nei Conservatori di musica.
Nella sua opera, e in modo particolare sul versante storico-politico, non è difficile individuare alcune linee di fondo come la realpolitik, la centralità della grande tradizione culturale europea, gli elementi costitutivi di una nazione; ma chi volesse trovarvi un compendio sistematico e “dottrinale” sbaglierebbe indirizzo; piuttosto è impressionante per il livello e la quantità degli spunti, delle osservazioni, dei riferimenti culturali: una vera miniera.
Ma, dal momento che per le informazioni in dettaglio si può accedere a un sito ufficiale, e all'immancabile Wikipedia, metterei a fuoco qualche punto più controverso, anche per suggerire un’idea dello spessore del personaggio e del suo relativo isolamento nella destra italiana.
Intanto, proprio oggi che la bussola dei conservatori è in cerca di direzione e una sua rilettura sarebbe quanto meno tonificante, ho l’impressione che molti giovani di quell'area non dico che non sappiano neppure che sia esistito, ma forse se lo immaginano nebulosamente come una specie di bastian contrario colto, esponente di un pensiero di destra un po’ atipico. Quanto a leggerlo, o a rileggerlo, posso sbagliarmi, ma sarei incline a scommettere su numeri molto bassi.
Di destra Piero Buscaroli lo fu, e senza sconti per nessuno: non solo per gli avversari, ma con chiara e aristocratica determinazione anche per alcuni importanti idola tribus del suo campo. Basta (ri)leggere le considerazioni sull'entrata dell’Italia nella guerra 15-18, la sua valutazione negativa dell’interventismo e del disastro che per l’Europa e l’Italia costituirono l’abbandono dell’alleanza con Austria e Germania e poi la caduta degli imperi centrali. In questa vicenda Buscaroli vede una prova dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, preda della demagogia dei retori e delle agitazioni di piazza, e del nostro destino a “non essere una nazione”. Giudizio troppo severo? Gli storici potranno sfumarlo, discuterlo, contestarlo. Ma certamente il mondo conservatore, nell'elaborare una narrazione adeguata della storia nazionale, non potrà prescinderne, e non potrà continuare a lungo ad adagiarsi sul topos tardo-risorgimentale del “riscatto delle terre irredente”.
Altra provocazione, altro snodo su cui obbliga alla riflessione, anche se per i canoni delle destre attuali diventa veramente difficile seguirlo, è il giudizio negativo del ruolo dell’Inghilterra nel contrasto dell’egemonia della Germania in Europa. Appassionato conoscitore della cultura artistica e musicale tedesca (lo testimoniano le importanti monografie su Bach e Beethoven), per la Germania e per la sua centralità politico-culturale in Europa ebbe sempre un occhio di riguardo. Una vicinanza che si fa pietas e piena partecipazione nel racconto dei crimini contro “i vinti”, con l’acme narrativo della rievocazione della furia distruttiva del bombardamento di Dresda, nella lunga notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1945: pagine altissime e tremende, da leggere, e – perché no? – forse da introdurre nelle antologie scolastiche sulla seconda guerra mondiale.
Articolo pubblicato con lo pseudonimo di Cominius su L'Occidentale del 6-2-2020
Nella sua opera, e in modo particolare sul versante storico-politico, non è difficile individuare alcune linee di fondo come la realpolitik, la centralità della grande tradizione culturale europea, gli elementi costitutivi di una nazione; ma chi volesse trovarvi un compendio sistematico e “dottrinale” sbaglierebbe indirizzo; piuttosto è impressionante per il livello e la quantità degli spunti, delle osservazioni, dei riferimenti culturali: una vera miniera.
Ma, dal momento che per le informazioni in dettaglio si può accedere a un sito ufficiale, e all'immancabile Wikipedia, metterei a fuoco qualche punto più controverso, anche per suggerire un’idea dello spessore del personaggio e del suo relativo isolamento nella destra italiana.
Intanto, proprio oggi che la bussola dei conservatori è in cerca di direzione e una sua rilettura sarebbe quanto meno tonificante, ho l’impressione che molti giovani di quell'area non dico che non sappiano neppure che sia esistito, ma forse se lo immaginano nebulosamente come una specie di bastian contrario colto, esponente di un pensiero di destra un po’ atipico. Quanto a leggerlo, o a rileggerlo, posso sbagliarmi, ma sarei incline a scommettere su numeri molto bassi.
Di destra Piero Buscaroli lo fu, e senza sconti per nessuno: non solo per gli avversari, ma con chiara e aristocratica determinazione anche per alcuni importanti idola tribus del suo campo. Basta (ri)leggere le considerazioni sull'entrata dell’Italia nella guerra 15-18, la sua valutazione negativa dell’interventismo e del disastro che per l’Europa e l’Italia costituirono l’abbandono dell’alleanza con Austria e Germania e poi la caduta degli imperi centrali. In questa vicenda Buscaroli vede una prova dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, preda della demagogia dei retori e delle agitazioni di piazza, e del nostro destino a “non essere una nazione”. Giudizio troppo severo? Gli storici potranno sfumarlo, discuterlo, contestarlo. Ma certamente il mondo conservatore, nell'elaborare una narrazione adeguata della storia nazionale, non potrà prescinderne, e non potrà continuare a lungo ad adagiarsi sul topos tardo-risorgimentale del “riscatto delle terre irredente”.
Altra provocazione, altro snodo su cui obbliga alla riflessione, anche se per i canoni delle destre attuali diventa veramente difficile seguirlo, è il giudizio negativo del ruolo dell’Inghilterra nel contrasto dell’egemonia della Germania in Europa. Appassionato conoscitore della cultura artistica e musicale tedesca (lo testimoniano le importanti monografie su Bach e Beethoven), per la Germania e per la sua centralità politico-culturale in Europa ebbe sempre un occhio di riguardo. Una vicinanza che si fa pietas e piena partecipazione nel racconto dei crimini contro “i vinti”, con l’acme narrativo della rievocazione della furia distruttiva del bombardamento di Dresda, nella lunga notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1945: pagine altissime e tremende, da leggere, e – perché no? – forse da introdurre nelle antologie scolastiche sulla seconda guerra mondiale.
Articolo pubblicato con lo pseudonimo di Cominius su L'Occidentale del 6-2-2020