Roberto D’Alimonte sull’
Huffington post ha descritto
le elezioni regionali toscane come una linea Maginot per il PD. In effetti uno dopo l’altro i sondaggi autorizzano a pensare non solo che l’evento esplosivo possa accadere davvero, ma che sia addirittura probabile. È vero che i sondaggi, stando a una formidabile battuta attribuita a Simon Peres, sono come i profumi: li devi sì annusare, ma mai bere. Fatto sta che l’odore è buonissimo e il rischio che il 22 settembre la Toscana rossa si svegli cambiata di segno è molto alto. Anche il clima di entusiasmo cauto che si respira attorno agli eventi del centrodestra lo lascerebbe presagire. In ogni caso, al di là dei risultati finali, che presumibilmente saranno determinati da un pugno di voti, la linea Maginot è già stata sicuramente sfondata in più punti.
Non c’è soltanto il fatto che per il centrodestra è diventata reale la contendibilità della vittoria, che dai tempi del 40% di Altero Matteoli non si era mai più profilata.
Il mutamento profondo, quello già avvenuto, è testimoniato dalla qualità, dalla quantità e dal radicamento della nuova classe dirigente. Qualche sera fa il sindaco di Pisa Michele Conti ha schierato – per un dibattito serio, pacato e argomentato a sostegno della candidatura di Susanna Ceccardi – una bella rappresentanza di sindaci. La foto di gruppo dice più di mille sondaggi: la presenza di capoluoghi come Pisa, Siena, Massa, Pistoia (più Arezzo e Grosseto collegati) e centri strategici per grandezza o per interesse turistico come Montecatini, Piombino e Abetone è la prova che il centrodestra non è più marginale ed estraneo ai processi decisionali dei territori, ma ha tutti i titoli, politici e sociologici, per aspirare a governare l’insieme della regione.
La seconda grossa falla nella linea è rappresentata dalla campagna di Susanna Ceccardi, tutta incentrata su tematiche importanti e concrete: l’asse tirrenico incompiuto, i collegamenti interni fermi da decenni, la marginalità della Toscana periferica, l’elefantiasi dell’organizzazione delle tre grandi ASL, la necessità di rivitalizzare la rete di artigianato e di piccole imprese che sono il vanto di questa terra; ma anche l’ambiente e la gestione dei rifiuti, dove la sinistra paga le sue divisioni e non è riuscita a programmare una rete di termo valorizzatori di nuova generazione, condannando il territorio alla crescita delle discariche. Nella narrazione della “leonessa” non mancano certo i richiami alla storia, all’identità e ai valori concreti della tradizione.
Ne abbiamo avuto un esempio nelle parole pronunziate al meeting di
Toscana Civica per il Cambiamento, la quarta lista a suo sostegno, tenutosi non a caso in un borgo bellissimo al centro della Toscana, Casole d’Elsa: qui è sembrato che aleggiasse la sottoscrizione di un patto tra le radici di una regione unica al mondo – profondamente conficcate nella storia – e i bisogni sempre più impellenti di territori trascurati e “periferizzati” dalle politiche degli ultimi decenni.
La maturità di questa campagna è stata sottolineata in un articolo molto accurato di David Allegranti sul Foglio del 20 agosto, dal titolo “Toscana anno zero”. La sintesi l’aveva fatta in un post su Facebook di due giorni prima: “In questi giorni sto seguendo la campagna elettorale in Toscana. La leghista Susanna Ceccardi non è Lucia Borgonzoni e Matteo Salvini non si è sostituto alla candidata come in Emilia-Romagna. Ceccardi parla di temi. Trasporti, infrastrutture. Il centrosinistra sta cazzeggiando”. Già, perché anche questa è una chiave, il segno sicuro di una terza falla: a una campagna tutta cose e fatti la sinistra sta rispondendo con i riflessi condizionati dell’emergenza antifascista e del pericolo del ribaltamento di un modello di organismo sociale che – replica Ceccardi – non è frutto delle politiche della sinistra, ma del carattere, dell’ingegno e della intraprendenza dei toscani. Viceversa, la sinistra lo ha per lo più mortificato con politiche centraliste e ostili all’impresa.
Al di fuori dell’emergenza antifascista non si vedono grandi repliche. Anzi, dopo un primo dibattito in cui il candidato del PD Eugenio Giani a giudizio quasi unanime risultò perdente, i successivi faccia a faccia sono stati accuratamente evitati. Ma in compenso sono arrivate le Sardine che in una piazza di Cascina (l’epicentro del terremoto Ceccardi, il comune dove la “ragazzetta” si conquistò i galloni di sindaco a meno di 30 anni) si dispongono a recitare il copione un po’ stanco dell’antileghismo preconcetto.
I toscani si lasceranno convincere che il problema della regione non sono i trasporti, le infrastrutture, i termovalorizzatori, la lontananza dei presidi sanitari dalle zone periferiche dell’interno, ma cose ridicole come il tormentone sulla purezza antifascista di una bella azienda casearia del Pisano visitata dalla candidata presidente accompagnata da Salvini? È possibile, ma forse (sperabilmente) improbabile.
(Articolo apparso sull'Occidentale del 10-9-20col titolo In Toscana Susanna Ceccardi vede il traguardo, Pd al capolinea?)
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