A leggere i suoi aforismi, anche dopo vent’anni dalla morte, di Gustave Thibon si apprezza soprattutto l’attualità: benché una lettura superficiale della biografia indurrebbe a immaginarlo come un conservatore imbevuto di nostalgia per il buon tempo antico della civiltà contadina, in realtà tutto il suo pensiero sorprendentemente ruota attorno al confronto con la liquidità e le contraddizioni del postmoderno. Non si tratta di un confronto sistematico e tanto meno rigidamente dottrinario. Piuttosto, collocandosi nel filone della tradizione aforistica e “moralista” così feconda in Francia, offre continui spunti di riflessione e apre prospettive divenute inconsuete, misurandosi dialogicamente con le certezze e i pregiudizi della nostra epoca, in molti casi riuscendo a metterli efficacemente in discussione, e perfino a terremotarli. Ma anche una lettura strettamente politica del suo pensiero sarebbe limitante. Certamente Thibon è ascrivibile al grande filone culturale della destra francese: in alcuni passaggi si può intravedere anche la suggestione del Maurras comtiano apologeta del dato di realtà; si aggiunga che durante la seconda guerra mondiale la sua posizione, ostile agli occupanti, ma abbastanza benevola nei riguardi di Vichy e di Pétain, nel dopoguerra è stata anche oggetto di polemiche. Ma per unanime riconoscimento il suo contributo più importante è nella zona pre-politica delle tendenze e dell’atteggiamento di fondo di fronte alla realtà.
Radicamento contro evasione, realismo contro utopia e fantasticheria, senso dei legami orizzontali e verticali contro nichilismo e relativismo assoluto: queste sono le parole chiave che ci aprono al significato complessivo del suo pensiero.


Nel 1964 gli fu assegnato, per l’insieme della sua opera, il prestigiosissimo Gran Premio di Letteratura dell’Accademia di Francia. Ma il contadino di Provenza – che nella formazione ebbe anche qualche debito nei confronti di un altro paysan, il Jacques Maritain contadino della Garonna (1) che lo aveva spinto a pubblicare il suo primo saggio nel 1931 – ovviamente non amava i convegni, le passerelle, la mondanità dei circoli letterari. Tanto più dobbiamo essere orgogliosi della sua trasferta romana in occasione della presentazione dell’edizione italiana di Ritorno al reale (1972), tradotta da Italo De Giorgi.
Il volume è dedicato ai giovani pisani che ne avevano caldeggiato la pubblicazione presso l’editore Giovanni Volpe e che andarono ad incontrarlo a Roma. Evidentemente il saggio contadino Thibon non li considerò tipi da passerella.
(1) Le paysan de la Garonne è il titolo del libro che Maritain scrisse nel 1966 in piena stagione postconciliare, in cui ribadiva polemicamente la
necessità di un ritorno al pensiero di Tommaso d'Aquino.
Pubblicato, con lievi differenze e meno riferimenti ipertestuali, su L'Occidentale del 19-1-21 (Gustave Thibon, ovvero la saggezza del contadino)
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