lunedì 23 settembre 2019

Toscana profonda: vetrine, case chiuse e indignate smemorate.

Capita che un consigliere regionale di nome Roberto Salvini, eletto nel collegio di Pisa con tantissime preferenze (le male lingue dicono che cognome e un abile confezionamento dei volantini elettorali gli abbiano dato una bella mano), in una riunione della commissione per lo sviluppo economico, si avventuri nella proposta di arricchire il turismo con l’offerta di ragazze a pagamento ben esposte in vetrina.
“Non ce lo vogliamo togliere il prosciutto dagli occhi? Io sono stato 20 anni fa alle fiere in Germania, in Olanda è uguale, in Austria è uguale, in Francia è uguale: troviamo le donne in vetrina. E' un turismo anche quello”. 
Alla riunione è presente Monia Monni, vicepresidente del gruppo consiliare PD, che pubblica a stretto giro un post su Facebook, dal titolo “Lega contro le donne” (discretamente generalizzante, si può dire?). Immediatamente il video dilaga sui social e rimbalza sul TG RAI regionale e su altri media; in parallelo risale i palazzi delle istituzioni, da dove arriva un salace commento del governatore Rossi, che propone a Salvini (Roberto) di mettersi intanto lui nudo in vetrina, non senza avergli preventivamente ricordato la vigenza nell'ordinamento e il valore esemplare della legge Merlin del 1958. Di rincalzo, da Palazzo Madama la Senatrice Caterina Citi esprime così la sua indignazione: “Lo sfruttamento della prostituzione è una forma di schiavitù del nostro tempo e non è ammissibile sentirne parlare diversamente. Ci aspettiamo che tutta la Lega prenda posizione e condanni quelle dichiarazioni". 

E così avviene in tempi tutto sommato molto stretti. Al Salvini (Roberto) era già arrivata una secca lavata di testa da parte dell’ex ministro al turismo Gian Marco Centinaio, che esprimeva un categorico dissenso dal consigliere toscano, e definiva la proposta priva di fondamento e non condivisa da nessun esponente della Lega, letteralmente una “stupidata”.  
Nel giro di poco la vicenda arriva in qualche modo a conclusione, con un provvedimento di sospensione dal partito a firma del commissario regionale Daniele Belotti: “Toni e contenuti delle dichiarazioni del consigliere Roberto Salvini sono di una gravità tale che non possono essere sottovalutati e presi alla leggera. La Lega da sempre ha una linea politica, con i fatti ancor più che con le parole, di assoluta difesa del ruolo delle donne”. E, continuando, spiega pure come:
“Il nostro Movimento vuole la riapertura delle case chiuse non per mettere le donne in vetrina, ma, anzi, sull'esempio di società civilmente evolute come Svizzera e Austria, per toglierle dallo squallore delle strade. Il fine è quello di garantire più sicurezza nelle città, eliminare il degrado, stroncare radicalmente l’indegno sfruttamento delle donne da parte di organizzazioni criminali, prevenire malattie a trasmissione sessuale e far emergere l’enorme ed incontrollata evasione fiscale, garantendo, in tal modo, entrate tributarie miliardarie per lo Stato”. Che dire? Un comunicato che francamente lascia sbalorditi: in sintesi, le case chiuse sì, ma senza vetrine, importante è che le tapparelle siano ben calate.

Appurato tristemente che questa metà del campo non gode esattamente di buona salute, diamo un’occhiata più attenta all'altra parte, sempre popolata da pronte e combattive tutrici del corpo delle donne, giustamente indignate per ogni riproposizione della bontà -o almeno della praticabilità legale- della prostituzione, con o senza vetrine.
Ecco, loro sono così indignate e pronte alla reazione da rimuovere un punto essenziale. E cioè che nel loro partito allignano numerosi sostenitori e sostenitrici della vendita del corpo delle donne a scopo riproduttivo. E anche qualche autorevole utente. Deve essere senz'altro un’amnesia - benché una strana amnesia di gruppo- perché non è possibile credere che l’accettazione di un pagamento per una prestazione sessuale equivalga a rendere schiavo il corpo delle donne, mentre il pagamento per condurre a termine una gravidanza e consegnare il prodotto al committente sia inscritto in un orizzonte di civiltà, di progresso e di emancipazione. Un orizzonte così alto e nobile che va anche legalmente tutelato, in modo tale che chi avanza perplessità e dubbi o si spinga audacemente al dissenso sia dichiarato omofobo o qualcosaltro-fobo e penalmente perseguito.





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