E' sempre opportuno dare a Cesare ciò che è di Cesare, e soprattutto a Giulio ciò che è di Giulio. Dopo l'inverosimile scivolata della sceneggiata antinapoletana a base di Alì Babà consumata a Bologna sul palco ridanciano delle celebrità leghiste locali, davanti ad un pubblico diverso (i giovani editori) il ministro Tremonti ha prodotto una descrizione-quadro dell'economia e della società italiane decisamente interessante.
Il Nord è la regione più ricca d'Europa, ma il Sud va indietro. E fin qui forse niente di veramente nuovo. Ma vorrei sottolineare anche la proposta politico-culturale che si intravvede dietro la chiara sintesi delle cause: le infrastrutture deboli (basta guardare la lentezza delle ferrovie), il peso persistente dell'economia illegale, e -non certamente ultima- l'incapacità delle amministrazioni di spendere miliardi di fondi europei. A determinare questa situazione ci sono quindi ragioni storiche, come gli scarsi investimenti infrastrutturali al Sud e il radicamento dell'illegalità organizzata, ma c'è anche il peso di un ceto dirigente oscillante fra clientelismo e burocratismo (dice Tremonti: provate a leggere un bando di gara e a dire a quanti può risultare comprensibile...). I rimedi? Certo non è facile venirne fuori, né con le leggi di sviluppo da sole, né con la crescita culturale del rifiuto delle mafie, sia pure corroborata da una vasta azione di contrasto come quella che il governo sta svolgendo in questi anni. A partire dal netto rifiuto della divisione del paese, occorre ridare vere occasioni di investimento, riaprire i polmoni di una società asfittica, intervenire sulle infrastrutture. La sfida è trasformare il Sud da palla al piede a opportunità per lo sviluppo. Nell'insieme potrebbe anche emergere la possibilità di un'alleanza fra la rivendicazione nordista di segno non separatistico e un meridionalismo più maturo, che -rifiutando l'assistenzialismo e la cultura del lamento sistematico- guardi alla riqualificazione della società meridionale con un sostanzioso turnover delle classi dirigenti. Forse è un'utopia, forse è l'unica proposta che ci potrà tenere in piedi nei prossimi anni.
Il Nord è la regione più ricca d'Europa, ma il Sud va indietro. E fin qui forse niente di veramente nuovo. Ma vorrei sottolineare anche la proposta politico-culturale che si intravvede dietro la chiara sintesi delle cause: le infrastrutture deboli (basta guardare la lentezza delle ferrovie), il peso persistente dell'economia illegale, e -non certamente ultima- l'incapacità delle amministrazioni di spendere miliardi di fondi europei. A determinare questa situazione ci sono quindi ragioni storiche, come gli scarsi investimenti infrastrutturali al Sud e il radicamento dell'illegalità organizzata, ma c'è anche il peso di un ceto dirigente oscillante fra clientelismo e burocratismo (dice Tremonti: provate a leggere un bando di gara e a dire a quanti può risultare comprensibile...). I rimedi? Certo non è facile venirne fuori, né con le leggi di sviluppo da sole, né con la crescita culturale del rifiuto delle mafie, sia pure corroborata da una vasta azione di contrasto come quella che il governo sta svolgendo in questi anni. A partire dal netto rifiuto della divisione del paese, occorre ridare vere occasioni di investimento, riaprire i polmoni di una società asfittica, intervenire sulle infrastrutture. La sfida è trasformare il Sud da palla al piede a opportunità per lo sviluppo. Nell'insieme potrebbe anche emergere la possibilità di un'alleanza fra la rivendicazione nordista di segno non separatistico e un meridionalismo più maturo, che -rifiutando l'assistenzialismo e la cultura del lamento sistematico- guardi alla riqualificazione della società meridionale con un sostanzioso turnover delle classi dirigenti. Forse è un'utopia, forse è l'unica proposta che ci potrà tenere in piedi nei prossimi anni.
Nessun commento:
Posta un commento