mercoledì 31 agosto 2011

Sulla Libia, schieramenti capovolti

La guerra contro Gheddafi, fortemente voluta dalla Francia di Sarkozy seguita da Gran Bretagna e Stati Uniti, non è piaciuta granché alla destra italiana, con varie gradazioni, dalla diffidenza fino alla conclamata ostilità della Lega alla partecipazione. Panorama ha parlato di scambio di ruoli fra destra e sinistra. E ancora qualche giorno fa Alessandro Giuli sul Foglio rimarcava la convergenza con Alessandro Dal Lago del Manifesto nella denuncia di una guerra considerata soprattutto mediatica.
Giornali e blog di destra hanno messo in evidenza come la guerra fosse contraria agli interessi italiani e fosse dovuta principalmente all'intenzione franco-britannica di scalzare il primato delle imprese italiane in Libia. Perciò hanno accusato la sinistra, che salvo poche  eccezioni ha sponsorizzato la guerra di liberazione dal dittatore, di incoerenza rispetto al pacifismo e di sudditanza agli interessi altrui. E non solo la sinistra ufficiale, istituzionale e attenta ai legami con il blocco occidentale, come quella del Presidente Napolitano, ma anche quella di commentatori come Adriano Sofri, che d'altronde non è nuovo a questo genere di interventismo democratico-umanitario. E così si è avuto un curioso capovolgimento rispetto alla guerra in Iraq: basta solo il cambio Bush-Obama a giustificarlo? 
A cose fatte - o quasi- è necessario prendere atto della nuova realtà e cercare di capire cosa può accadere. I timori di una Libia consegnata ai fondamentalisti islamisti non sono immaginari, come sottolinea l'agenzia cattolica asianews. La tradizionale ostilità di Bengasi - capofila della rivolta-  verso l'Italia è più che nota, fin dai tempi in cui re Idris da lì chiamava alla ribellione contro l'occupazione italiana. Ma nello stesso tempo i contatti in questi ultimi mesi sono stati intensi. Perciò l'Italia avrebbe ancora molte carte da giocare nella nuova situazione, e tutti gli europei hanno un forte interesse comune a lavorare contro l'ipotesi di una Libia islamista e quasi "iraniana". "Se Parigi vince, Roma non perde", è il titolo di un solido articolo di Marta Dassù apparso oggi sulla Stampa. Studiosa di indiscussa  competenza sui temi internazionali (anche se un po' di tara per la sua collocazione decisamente "aspeniana", con quel che comporta anche in tema di visione del mondo,  la farei senz'altro) la Dassù delinea un  quadro delle forze presenti sul campo, dei precedenti storici e delle ipotesi per il futuro immediato.
Insomma, un  bel contributo, utile per capire di più, come ha sottolineato anche Christian Rocca su Twitter.

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