mercoledì 26 settembre 2012

Ora di religione a scuola: non abbiate paura!

Più che altro sembrava un'idea buttata lì per vedere l'effetto che fa, o un annuncio per fare audience, come quello del tablet ad ogni studente.
Ma purtroppo è uno di quei temi su cui non c'è speranza: i plausi e le recriminazioni sono arrivati praticamente prima di aver finito di leggere la pur non lunga frase del Ministro Profumo.
Invece poteva essere un'occasione per ragionarci su davvero.
Tra le tante questioni che subito fanno inalberare vessilli ne scelgo un paio, così, diciamo a partire dal buon senso.


Chiunque abbia "fatto" religione o abbia seguito figli in età scolare che l'hanno fatta - quindi  prima e dopo la revisione del concordato del 1984- ricorderà nell'ordine (a salire): sacerdoti anziani semidormienti nella cui ora si praticava di fatto ogni sorta (e sottolineo ogni sorta) di materia alternativa; sacerdoti più giovani con allure postconciliare nella cui ora gli adolescenti arrapati tentavano di intavolare dibattiti su petting e dintorni, oppure -nei casi migliori- qualche discussione su un film di tendenza; sacerdoti e laici stimolanti che cercavano di dirozzare i medesimi adolescenti più o meno riluttanti, introducendo qualche categoria culturale o storica, che li portasse a capire le basi del discorso religioso. Negli ultimi anni questa tipologia di insegnanti è aumentata, e pure la qualità dell'insegnamento, anche se ha fatto irruzione la crescita del tipo predicatorio-politico, la cui mission - almeno fino a novembre scorso - si identificava con l'invio di Berlusconi all'inferno. Ora magari sarà la volta della dannazione di Marchionne, o - appena l'anno scorso - la beatificazione dell'acqua pubblica, e così via...
Sul punto della qualità, in definitiva, la gamma è varia quasi come in tutte le altre materie.
Quanto ai contenuti, è vero che in moltissimi casi durante l'ora di religione non si fa catechismo e si insegna cultura religiosa e storico-religiosa. Ma questo, che viene descritto come un merito, in realtà sarebbe in contraddizione con la formulazione ufficiale "insegnamento della religione cattolica".
C'è un altro un argomento forte e ribadito da parte dei sostenitori della situazione attuale, ed è quello che in un paese come l'Italia ignorare la cultura religiosa cristiana e specificamente cristiano-cattolica significa privarsi della comprensione di una parte consistente della storia, dell'arte e finanche della toponomastica e dell'organizzazione del territorio nella storia.
Ma qualcuno potrebbe affermare che con tutto il monte ore scolastico di religione dal 1929 in poi l'ignoranza religiosa è diminuita? Nessuno si è accorto che anche giornalisti non proprio ignorantoni e tante persone di cultura media confondono ad esempio Immacolata concezione e parto verginale della Madonna?
La domanda allora è questa : perché questo tipo di  insegnamento lo deve fornire la Chiesa cattolica? Fa parte dei suoi compiti di evangelizzazione? Mi pare di no, visto che tutti, vescovi e politici immantinente schierati, rifuggono dall'idea che in quell'ora si faccia "catechismo". E allora perché tanta affezione? Perché non si mette in discussione il meccanismo delle nomine degli insegnanti? Perché si deve tenere tanta acqua sporca col bambino? Perché si deve sorvolare sullo scandalo di persone che accumulano punti (e adesso anche posti di ruolo) perché nominati dalla diocesi e poi passano avanti in altre materie, scavalcando le graduatorie? Perché questo evocare principi altissimi e eterni, quando la materia del contendere è umana troppo umana? 
Perché ignorare che la materia così com'è, depotenziata dalla mancata valutazione, serve solo per mantenere un recinto che è in totale disponibilità del potere delle diocesi (anche se per correttezza bisogna dire spesso - e sempre più - con criteri basati su un'effettiva preparazione dei soggetti)?
La soluzione forse ci sarebbe, e fu indicata anche da intellettuali cattolici nel dibattito che precedette il rinnovo del concordato nel 1984: nella scuola pubblica  la materia "cultura religiosa" deve essere una materia curricolare, valutata, con insegnanti pubblici sottoposti a tutte le regole concorsuali degli altri. E questo comporterebbe un aumento della considerazione della materia, degli insegnanti e, quel che più dovrebbe contare per i credenti, del discorso religioso. 
In questo scenario non proselitistico - e rispettoso delle credenze o non credenze di tutti - la Chiesa avrebbe (meglio avrebbe avuto, se i vescovi in modo lungimirante avessero accettato di perdere un potere "da provveditorato" ) un ruolo decisivo come agenzia formatrice. Ossia: il Ministero, o comunque chi deputato a farlo, consultandosi con le componenti della società interessate all'educazione e specificamente con quelle coinvolte in questa tematica, fissa i programmi da svolgere e le competenze necessarie; la Chiesa, come tutte le agenzie formatrici in grado di farlo, comprese le università pubbliche e private, se interessate, dovrebbe preparare i gli aspiranti docenti e fornire una certificazione che lo stato riconosce (e questo semmai avrebbero dovuto chiedere in concordato). E' un'attività molto più consona alla sua missione, assicurerebbe un corpo di insegnanti di qualità, e darebbe maggiore  prestigio ai suoi corsi preparatori e all'ora scolastica che ne risulterebbe.
La Chiesa italiana non dovrebbe avere paura di scendere in campo aperto e di confrontarsi culturalmente. La fede o la non credenza non c'entrano granché, con un buon insegnamento scolastico sarebbero solo un po' più consapevoli.

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